lunedì 30 gennaio 2012

Il Posticipo_Juventus-Udinese (Sodomie 11 contro 11)



“Scusi sa che ore sono, per piacere?”
L’uomo senza età, perché eterno come la sua opera, invece mi risponde che ha fatto una puntatina al cesso, per toccare con mano il fatto di essere libero e di poter disporre del suo tempo come preferisce, cioè meditando. Siamo nella toilette di un autogrill sull’A4, verso Torino, e la mia principale urgenza sarebbe quella di conoscere l’ora per calcolare, in base alla neve che scende, quali rischi ci siano per l’eventuale rinvio della partita alla quale dovrei assistere, inviato da me stesso gratis, mai parola fu più odiosa, ma così va la vita se non sei raccomandato o figlio di giornalista. Eppure la neve che scende, non me la tassa nessuno, e neppure l’incontro con Aldo che dopo tre minuti, mi rivela, non spia più i cazzi degli altri ma i voli delle zanzare, pronto quando vengono a tiro a schiacciarle, plaff. Infatti sulle piastrelle ci sono i segni di suoi precedenti passaggi, graffiti neri e strie di sangue, e lui può trascorrere anche tre ore, così.

Potrebbe arrivare anche la buoncostume e chiedere i documenti, accerchiandoci, sbattendoci sotto il naso trenta centimetri di pistola prima di frastornarci con stupide domande: cosa ci fate qui? Perché continuate a fare avanti e indietro?
“Io perché sto andando allo Juventus Stadium, Aldo perché schiaccia le zanzare”.
Fuori dai bagni ci lasciano liberi, e lo Scrittore mi dice che sta ritornando da un premio letterario che avrebbe avuto luogo il giorno dopo, dalla fretta di sbrigare un così falso impegno. Allora visto che non è occupato, lo convinco a salire sulla mia Colt, ma sul sedile dietro perché davanti ho agganciato l’ovetto di Pietro. Osservandolo nello specchietto retrovisore, Aldo Busi in smoking e scarpe di vernice nera tiene un narciso giallo in mano, e sottobraccio tutta la sua produzione, dal Seminario sulla gioventù ad Aaa!.
“Aldo, come fai ad avere un braccio così lungo da contenere tutta la tua opera? Ma soprattutto, perché sei vestito così?”
“Sono già pronto per il 7 marzo 2012, quando dovrò presentarmi al tribunale di Monza dove è fissata la prima udienza dibattimentale del processo che mi vede chiamato a difendermi dall’accusa di aver leso la reputazione di Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario, ex moglie del Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi”.
“Ah, strano non ne parli nessuno quotidiano nazionale, sia cattofascista che cattocomunista. Il minimo che posso fare dall’alto della mia inutilià, è ospitarti in questo posticipo: biglietto dello stadio, panino con salamina e birra compresi”.

Dentro l’Arena Juventus, mi chiedo perché le serpentine riscaldanti posizionate sotto il manto erboso per mantenerlo in ottime condizione nonostante la bianca precipitazione, non siano state messe anche sotto i seggiolini bianchi e neri. Busi guarda in direzione del prato verde, ma percepisco che il suo sublime cervello pensa ad altro, mentre i suoi occhi sembrano valutare la potenza delle cosce e dei glutei del torello nero Armero, o il fascino muscolare e femminile di Matri. Quando il numero 32 in maglia rosa con stella nera si avventa sulla corta respinta di Handanovic alla bella girata di testa di Quagliarella per spingere il pallone in porta, io mi alzo in piedi: Goal! Lo Scrittore fa altrettanto, ma precisa:
“Di Veronica Lario non ho mai pensato nulla, soltanto mi sembra molto strano che una signora che ha recitato, che è stata nei teatri, che, insomma, non dico colta, ma comunque con un’istruzione piuttosto vasta, mandi una lettera per una storia di possibili corna o tradimenti o minorenni, ecc., e non abbia mai detto nulla sul fatto che a casa Berlusconi c’era un tale Mangano, lo stalliere pluriomicida e mafioso di vaglia che stava lì e che probabilmente ha preso in braccio i suoi bambini… Allora io mi sarei svegliata, magari venti anni prima”.
Nel secondo tempo l’Udinese pareggia con Floro Flores, ma è ancora Matri al sessantaduesimo ad inventarsi dal nulla il diagonale furbo e preciso che fissa il risultato sul 2 a 1.

Dopo che la folla se n’è andata, gelida e contenta, restiamo per un po’ seduti sui gradini, senza parlare. Un addetto alle pulizie dell’impianto, interrompe il suo lavoro per chiedere cosa facciamo ancora lì, a quell’ora.
“Guardiamo la luna”.
Appoggiato con il corpo alla sua scopa, allora si sporge in avanti, a destra e a sinistra. Poi riprende a spazzare, e allontanandosi fa:
“Ma se non c’è neanche, la luna”.

venerdì 27 gennaio 2012

Per Aldo Busi

Un appello di 200 contro la querela di Veronica Lario
Polemiche. Il 7 marzo la prima udienza
Ha chiamato a giudizio Aldo Busi che le ricordava di Mangano

Si moltiplicano alle adesioni in calce all'appello di intellettuali che solidarizzano con Aldo Busi, chiamato mercoledì 7 marzo al Tribunale di Monza, nella prima udienza dibattimentale del processo a suo carico, a difendersi dall' accusa di aver leso la reputazione di Veronica Lario. Il capo d'imputazione contestato allo scrittore è singolare: «Nel corso della trasmissione televisiva '8 e mezzo' (…) offendeva la reputazione di Miriam Bartolini, coniuge di Silvio Berlusconi, in quanto, in risposta alla domanda “di Veronica Lario, cosa pensa?”, rispondeva: “Non ho mai pensato nulla, soltanto mi sembra molto strano che una signora che ha recitato, che è stata nei teatri, che, insomma, non dico colta, ma comunque con un'istruzione piuttosto vasta, mandi una lettera per una storia di possibili corna o tradimenti o minorenni, ecc., e non abbia mai detto nulla sul fatto che a casa Berlusconi c'era un tale Mangano, lo stalliere pluriomicida e mafioso di vaglia che stava lì e che probabilmente ha preso in braccio i suoi bambini… Allora io mi sarei svegliata, magari venti anni prima"». A sostegno di Busi in una settimana sono scesi in campo circa 200, fra i quali gli scrittori Alessandro Barbero, Carmen Covito, Nicola Lagioia e Francesco Savio, i docenti universitari Giovanni Tesio e Antonio D'Andrea e i critici letterari Marco Dotti e Marco Cavalli. «CONSIDERIAMO inaccettabile che un magistrato possa dare seguito a una querela che parte da una simile dichiarazione - scrivono sul sito www.altriabusi. it. - Non occorre leggere tra le righe delle parole di Busi per capire che lo scrittore, lungi dall'offendere Veronica Lario, le riconosce pubblicamente una sua dignità civile violata dall'ex marito e, in seconda battuta, proprio dalla stessa Lario allorché, per distanziarsi anche legalmente da Berlusconi, adduce come ragione, tra le tante e più gravi a disposizione, il tradimento sessuale di lui. E' paradossale che un magistrato abbia potuto ravvisare nella querela gli estremi per avviare una causa processuale». «RITENIAMO che la magistratura italiana abbia troppe urgenze cui dare la precedenza - concludono - per scialacquare tempo e denaro dei contribuenti in contenziosi di conclamata futilità». E danno appuntamento «la mattina del 7 marzo a Monza, davanti al Tribunale. Servirà a rammentare ai giudici che il loro operato è soggetto al giudizio di quei cittadini che non hanno né santi in paradiso né ex coniugi che versano loro, a titolo di indennizzo, un appannaggio mensile di 3 milioni di euro».
Flavio Marcolini 

lunedì 23 gennaio 2012

Il posticipo_Roma-Cesena (Lamela Rayuela)


“E così sono tornato, perché la vostra puntualità nel rinnovare la scritta murale Julio torna, cosa ti costa? nella piazza che mi avete dedicato a Buenos Aires, meritava almeno un premio, anche se per ritornarci in cielo poi mi toccherà saltellare di nuovo sul tracciato di caselle disegnate per terra. Con un piede solo in corrispondenza delle caselle 3 e 6, con due piedi nelle caselle 4/5”.

Sapevo che per Julio solo le persone banali si davano appuntamento. Quelle che piacevano a lui, come l’amata Maga, s’incontravano per caso, in zone di Parigi che formavano a loro volta un gioco del mondo, da Rue de Babylone a Rue Monge. Per questo pur avendolo pedinato e sorpassato sul marciapiede, i passi necessari per utilizzare un albero parigino come breve nascondiglio (astuta tattica appresa dal detective Antoine Doinel) avevo finto stupore nel trovarmelo davanti, alto e ragazzo, appoggiato ad un muro scrostato con disegnato una freccia. 
“Ma quanto sei lungo, Julio?”
“Più o meno come quella specie di ponte che quei personaggi che vedi là in alto, affacciati a due finestre divise da poco spazio ma con quattro piani sotto, stanno cercando di costruire con una tavola. Cercano di passarsi un pacchetto di erba di mate e i chiodi, e ho la sensazione che inizierò a scrivere dettagliatamente tutte le idee che verranno loro in mente per attraversare il vuoto da una finestra all’altra. Guardali: sono Horacio Oliveira, Talita e Traveler”.

Aspettando che qualcuno mi guarisse dal fuoco sordo, dal fuoco incolore che correva all’imbrunire per Rue de la Huchette, pensavo alla triste verità che aveva spinto Cortazar a scrivere Rayuela. Gli piacevano sempre meno i romanzi, la narrativa che si praticava ai suoi tempi. Allora aveva pensato ad un anti-romanzo, generato da un caso fatto di foglietti scritti per anni in bar diversi, capaci di trovare un ordine solo al termine della stesura.
“Non ho progettato nulla. Il libro è stato vivisezionato dai critici e analizzato con estrema cura, ma tutte queste strutture hanno preso forma solamente alla fine. Rayuela è stato un punto centrale sul quale poi si sono incollati strati di cose”.

Non gli piacevano più i romanzi del suo tempo, ma cosa diavolo avrebbe detto allora Julio di quelli dei nostri, salvo rare eccezioni opere costruite a tavolino tra scuole di scritture e case editrici, abili ad alimentarsi economicamente con favori reciproci, quasi mai aventi come scopo l’attenzione nei confronti della qualità? Adesso è tutta una grande farsa, amico biancoceleste e francese, e ora capirai perché mi diverto di più a guardare una partita di pallone che a leggere certi rettangoli ripieni di fogli di soggetti che si vestono da scrittori, parlano da scrittori, recitano bene e senza alcuna vergogna la parte d’indispensabili alla storia della letteratura. Ma ora basta equivoci, la tua Maga magari ti aspetta al Café preferito dai membri del Club del Serpente, madre uruguagia con in braccio il figlio Rocamadour.

Al Club il gruppo di amici ascolta jazz, discute di arte e filosofia. Io sto prevalentemente zitto, limitandomi a segnalare che il talento argentino Lamela, fa rima con Rayuela. Sarà per questo che uscendo dagli spogliatoi, il numero 8 giallorosso lancia la prima pietra nella casella numero 1. Quindi con un piede solo (il destro) va nella casella due del prato dell’Olimpico, poi nelle 3 e 6, infine con due piedi nelle 4/5 e 7/8. Disorientata da questo movimento, la difesa del Cesena va nel pallone: Rodriguez spizza goffamente per il tacco dello stesso Lamela che serve Francesco Totti: tiro leggermente deviato che beffa il dormiente Antonioli sul primo palo. Tocca al Cesena, ma i romagnoli mettono subito un piede fuori dalla Rayuela e allora Lamela dal limite pesca Totti in leggero fuorigioco, 2-0. Palla al centro, e ancora dentro l’ottavo giro di sessanta secondi Borini fa 3-0. Il gioco del mondo è finito in soli otto minuti. Si andrà avanti a saltellare comunque fino al novantesimo, con gli altri del Club ad ascoltare Cortazar proporre due letture possibili di una partita di pallone:
“A modo suo ogni partita è molte partite, ma è soprattutto due partite. La prima, si può leggere come abitualmente si leggono le partite, e finisce al minuto 8 ove tre evidentissimi asterischi equivalgono alla parola Fine. La seconda, si può leggere dal minuto 73 e seguendo l’ordine indicato a piè pagina d’ogni capitolo. In caso di confusione o poca memoria, basterà consultare la lista seguente: 73-1-2-116-3-84-4-71-5-81-74-6…”

lunedì 16 gennaio 2012

Il posticipo_Milan-Inter (Sabato sera, un derby con Arthur Seaton)



Avevo visto Arthur Seaton dirigersi a passi malfermi verso la scale, ma nonostante fosse ubriaco fradicio e le possibilità che ruzzolasse dal primo scalino fino all’ultimo fossero molto alte, non avevo mosso un dito per salvarlo. Il Notts County aveva vinto in casa, e onestamente l’unica cosa che m’importava era finire la birra cantando con i miei amici fino a sentire le vene delle tempie pulsare felici e dimentiche di ogni cosa. Al White Horse Club era un sabato sera di beneficenza e il pub aveva spaccato la cassetta delle offerte scatenando la festa tra le sue quattro mura.

Arthur era rotolato, terminando dopo undici pinte di birra e dodici bicchierini di gin sul pavimento in posizione fetale, e rimetterlo in piedi con l’aiuto del cameriere non era stato facile. Fuori a prendere una boccata d’aria e una di Woodbine, Seaton mi aveva rivelato che di calcio aveva sentito parlare tante volte, e per una volta preferiva rimanere euforico e mezzo sognante, immerso nel ricordo confuso della terra fredda nel bosco scuro dove era stato con Brenda qualche ora prima, mentre il marito di lei era alla partita. Arthur odiava i mariti spenti, ma più di tutto odiava il castello che dominava la città. L’avrebbe fatto saltare in aria volentieri con mille tonnellate di tritolo piazzate nella galleria che ci passa sotto.

Camminando lentamente lungo la Ropewalk, ci eravamo addentrati in un quartiere tranquillo dove le buie palazzine di Park Row facevano la loro comparsa tra le tenebre.
”La domenica mattina io amo pescare trote in campagna, verso Cotgrave o Trowel. Il sabato sera invece mi sbronzo, è uno scoppio di vitalità che mi ripulisce da una settimana passata a sgobbare in fabbrica. Tu di solito che fai?”
”Io guardo almeno una partita e ci scrivo sopra un pezzo. Ti sembrerà incredibile, ma per ora nessun quotidiano mi ha proposto una collaborazione retribuita a riguardo. Comunque, potremmo unire le nostre abitudini e andare al Match”.
”Ma è il pub peggiore della città!”
”Lo so, ma fanno vedere Milan-Inter”.

Attraversando Derby Road, un gran rumore di freni e di ruote, per Arthur una martellata metallica sulla coscia e sul fianco. A terra vicino a una pozzanghera, Seaton bestemmiava, promettendo all’autista un brutto quarto d’ora. Ma il pilota investitore, decideva di difendersi con l'attacco:
”Maledetti idioti! Perché non guardate dove andate?”
Era stato un attimo.
Balzato in piedi, Arthur aveva puntato l’automobilista, riconoscendo in lui un editore dalla dubbia moralità che da due anni doveva del denaro ad un suo amico scrittore, Alan Sillitoe. Editore sfortunato questo di Sillitoe, colpito da una nuova sciagura ogni volta che era pronto a recarsi in banca per bonificare allo scrittore inglese il dovuto. Una volta si rompeva una gamba scivolando su una lastra di ghiaccio in primavera, una volta veniva colpito da un violento raffreddore che gli impediva di ragionare, in altre circostanze scopriva giusto quando era allo sportello pronto a pronunciare il fatidico Iban che suo suocero stazionava in gravi condizioni all’ospedale. Per farla breve, sotto lo sguardo pallido dell’editore furfante, Arthur gli aveva rovesciato l’auto, approfittando nella circostanza del mio convinto aiuto.

Sul maxischermo del Match, andava in onda una partita noiosa e fredda, decisa da un bel diagonale del principe Milito al nono del secondo tempo. Arthur ne approfittava per scrutare gli abitanti degli altri tavoli, fino a trovare qualcuno meritevole di essere preso a pugni. Perché in qualche modo anche il sabato doveva finire, senza pensare alla fabbrica che faceva morire di lavoro, ai sindacati che facevano morire di chiacchiere, alla previdenza sociale e all’ufficio delle tasse che ti facevano morire di rabbia per tutti i soldi che mungevano dalla tua busta paga. Poi tanto sarebbe arrivata una domenica mattina da solo a pescare, a domandarsi dove vanno a finire i pesci quando muoiono, rispondendosi che tutto sommato la vita è bella, se non ti butti giù, se sai che questo immenso mondo non ha ancora sentito parlare di te, no, neanche lontanamente, ma ormai ci manca davvero pochissimo.

lunedì 9 gennaio 2012

Il posticipo_Cagliari-Genoa: (Dai Monti di Mola al Sant’Elia)



Nascosto tra le frasche, Fabrizio era stato categorico:
“Adesso ci credi a questa storia del giovane bruno e dell’asina che si amano?”
Non potevo contraddirlo.
Mentre sui monti di pietra di macina l’uomo aitante stava tagliando rami, e l’animale stava pascolando, i loro occhi si erano incontrati, cercando acqua. Poi lei era diventata cuscino di lana, bianca fortuna. Lui carnevale di baci, cucitore di cuore.
Nel cespuglio opposto al nostro, una brutta vecchia piangeva a spiava con la bava alla bocca:
”Beata l’asina, mamma mia che bell’uomo. Beata lei, giovane e moro. Beata lei, io muoio sola”.

In Gallura tutto era pronto per il matrimonio, ma l’innamorato non si trovava più, e il sacrestano si faceva scappare che lo sapevano tutti, era partito la sera precedente per Castéddu con il parroco, come era solito fare almeno una volta a settimana.
Delusi nell’ultimo, inginocchiatoio della chiesa, con Fabrizio abbiamo maledetto la cattiva sorte e per la rabbia in automobile siamo andati verso sud, seguendo un tragitto fatto a onda. Ho guidato io, perché lui non ha mai preso la patente. Il viaggio fino a Cagliari è durato circa tre ore e quaranta minuti, con un costo di carburante (grazie all’aumento del costo della benzina esercitato da un governo tecnico e vile) di 45 euro. Tra una cantata in coppia del suo disco “Le nuvole”, qualche bestemmia per la lunghezza dello spostamento, e almeno una decina di sigarette, De André ne ha approfittato per raccontarmi la sua passione per il Genoa, nata il pomeriggio del 5 gennaio del 1947, quando il padre Giuseppe l’aveva portato a Marassi per vedere il Grande Torino di cui era tifoso. Una partita a senso unico, con la squadra granata e meravigliosa sul 3-0 al settantesimo, e il padre di Fabrizio ad applaudire entusiasta. Ma poi il Genoa aveva reagito, costringendo Mazzola, Gabetto, Grezar, Loik a difendersi: uno a tre, due a tre, un palo. Dentro quella rimonta mancata, era nata la passione di De André figlio per il Genoa.

Consapevoli che non avremmo osservato niente di simile ad aspettarci in uno stesso gennaio ma di sessantacinque anni dopo, ci siamo introdotti comunque al Sant’Elia, accomodandoci  sulle tribune in tubi Innocenti, cacciando con lo sguardo i fuggitivi: giovane moro Ibarbo e prete. Eccoli là: il primo impegnato nel riscaldamento in allunghi che avrebbe riproposto con ferocia cristallina durante l’incontro, il secondo intento a benedire il terreno di gioco per consentire all’undici del sacchiano Ballardini di dare ragione al presidente Cellino per il terzo cambio di panchina in quattro mesi.
Le preghiere funzionavano, se è vero che i sardi usufruivano di un rigore già all’undicesimo del primo tempo. Larrivey trasformava. Fabrizio al mio fianco si lasciava andare a qualche Madonna, ma il Cagliari benedetto giustificava il vantaggio dominando. Se il Genoa non ne prendeva tre in quarantacinque minuti, era merito di una traversa, dell’imprecisione sottoporta dell’indemoniato Ibarbo, di un miracoloso Frey. Nella seconda frazione però era il giovane moro a raddoppiare con una cavalcata asprilliana terminante in pallonetto, mentre lo zenese e svedese Granqvist infilava nella sua porta il pallone che metteva fine alla partita: Cagliari 3, Genoa 0.

A questo punto, approfittando dell’eccitazione generale, De André mi costringeva a scavalcare la parete in plexiglass che ci separava dal campo:
“Riportiamo in Gallura il prete e il giovane moro, prima che sia troppo tardi!”
Il religioso, vicino alla panchina, stava abbracciando paonazzo l’uomo del match: il colombiano Segundo Victor Ibarbo Guerrero. Fabrizio era convincente nell’invitarli a ripartire immediatamente per i Monti di Mola, senza nemmeno la doccia. Poi in macchina costruiva la sua storia musicale in sardo, correggendo e cancellando con la matita più volte il finale, alla faccia di ogni invenzione burocratica capace di far saltare all’ultimo, la celebrazione:
“L’asina e questo ragazzo si sposeranno, vero parroco? Ci penserai tu, a far sparire i documenti da cui risultano cugini primi”.      

venerdì 6 gennaio 2012

"Anticipi, posticipi" su Bresciaoggi.



Ieri, su Bresciaoggi, Flavio Marcolini così parlò di "Anticipi, posticipi"

giovedì 05 gennaio 2012 – CULTURA – Pagina 39

IN LIBRERIA. Per le edizioni Italic Pequod
Anticipi e posticipi
calcio e letteratura
per Francesco Savio
Dopo «Mio padre era bellissimo» il giovane bresciano cambia registro

Per le edizioni Italic Pequod esce in questi giorni «Anticipi, posticipi» (pagg. 188, euro 14), il secondo libro del giovane bresciano Francesco Savio, scritto questa volta in collaborazione con Antonio Gurrado e con la prefazione di Roberto Beccantini.
Dopo il fortunato «Mio padre era bellissimo» (2009) che nel corso del 2012 uscirà in Francia per la casa editrice parigina «Le dilettante», Savio torna qui a parlare con Gurrado del rapporto fra calcio e letteratura, mescolando e confondendo partite e libri, giocatori e scrittori. «Tutto inizia dai Mondiali 2010 - racconta il narratore - dal desiderio non realizzato di essere inviati da qualche testata giornalistica coraggiosa in Sudafrica, per commentare le partite del Campionato del Mondo. Ma non avendo parenti o conoscenti giornalisti in grado di raccomandarci, con Gurrado abbiamo trovato il modo di essere inviati, altrove però».
«Il Mondiale - spiega - si spostava da una città all´altra del Sudafrica, e noi eravamo invece a Milano, Parigi, Gravina di Puglia, Brescia. Dai Mondiali siamo poi passati alla serie A, scegliendo di settimana in settimana i nostri «anticipi» e i nostri «posticipi». Per i primi abbiamo individuato una partita che è stata grande anni fa, cercando di scovarne il motivo d´interesse nella smorfia dimenticata di un campione, nella scena secondaria di un film, in una spiazzante indagine sociologica. Per i secondi abbiamo chiesto ogni domenica ad uno scrittore diverso (sovente deceduto) di accompagnarci sugli spalti di uno stadio o davanti al decoder, trovando una frase, una descrizione, un´ interiezione che desse un appiglio al campionato in corso, altrimenti insensato».
Ne è uscito questo bizzarro almanacco fra il calcistico e il letterario, una sorta di creativo album delle figurine. Annota: «Oggi si usa lo sport più popolare per sbriciolare quel poco che resta del cervello di un popolo gi! à imbottito da troppa cultura televisiva. Ma “Anticipi, pos! ticipi” non è propriamente un libro sul calcio. Chi si aspetterebbe di veder sbucare all´improvviso in una partita di pallone Henry David Thoreau, John Cheever o Richard Yates? Eppure in queste pagine questo accade. Non sarebbe bello se qualche giornale inviasse questi due cronisti letterari direttamente sui campi per raccontarci di Mario Balotelli e Aldo Busi, di Andrea Pirlo e di Franz Kafka?»