giovedì 4 dicembre 2014

A passeggio con il campionato (13)


Milano – Provo una strana allegria a lavorare in libreria, talvolta qualcosa di mistico o per lo meno accettabile, dicevo a Teresa d’Avila alla fine dell’ordine alfabetico del settore Religione, perché i santi come avrete intuito non li mettiamo tutti alla lettera “S”, altrimenti sai che casino con Francesco e gli altri. A dire il vero Teresa ero allegro a intermittenza anche quando facevo i materassi, quando vendevo lavatrici o lavastoviglie, frigoriferi meno perché alla fine cosa vuoi dire dei frigoriferi, dopo un minuto avevo già terminato tutto quello che dovevo raccontare, no con i frigoriferi non provavo allegria, qualche cliente con problemi di comprensione o magari chissà  superiore solidarietà dialettica affermava:
“Allora questo è il congelatore. Ma due stelle o quattro stelle?”
Io rispondevo numericamente e la faccenda si chiudeva lì, refrigerati.
In libreria invece ero con Santa Teresa, verso la fine dell’alfabetico di Religione anche se adesso mi viene in mente che la “T” non è poi così distante dalla “S”, aveva ragione Emil Cioran quando scriveva dello stile narrativo che nei mistici, e in particolare in Teresa d’Avila, raggiungeva vette sorprendenti per scrittori non professionisti? No del tutto, a mio avviso, troppe ripetizioni, l’ossessivo e servile ringraziamento a Dio o Gesù scritto ogni poche righe, il richiamo ai presunti grandi peccati e alla spregevole vita, cosa mai aveva combinato Teresa pensavo consegnando all’interessato il libro richiesto che niente aveva a che fare con misticismo o santità, cosa mai poteva aver combinato la non ancora beata appena bambina per ritenersi così cattiva, prima della mia fine avrei dovuta leggerla questa Vita che a vent’anni non avevo studiato nemmeno nel periodo in cui mi occupavo con riservatezza convinta di Thomas Merton, arrivavo in bicicletta fino alla prima collina intorno alla città per guardare oltre le sbarre un monastero vero. Ma ora riponevo il volume Castelvecchi nello scaffale in basso ormai sapete dove, alla “T” dell’ordine alfabetico nel settore Religione, ci sarebbe stato tempo probabilmente per leggerti Teresa, l’allegria saltuaria del libraio corrispondeva alla medesima del venditore di lavatrici o lavastoviglie su questo non c’era dubbio, raffigurata sommariamente dal brillare occasionale e simile di elettrodomestici o pagine e copertine.
Quindi ho lavorato al mattino, passeggiato tanto e pensato poco nei pomeriggi, imbavagliato dalla non voglia di scrivere per manifesta inutilità personale e collettiva di fronte a un fatto tragico, luttuoso e infame. Non ho fatto caso alla pioggia sistematica nemica di ogni solitario camminatore, certo avevo l’ombrello, ma chi aveva parlato di tiro dell’Ave Maria descrivendo il calcio disperato all’ultimo secondo di Gesù Pirlo, capace di regalare ai bianconeri la vittoria nel derby della Mole, quando il pareggio in effetti pareva ai più la soluzione maggiormente idonea? Non riuscivo davvero a ricordarlo, il telecronista certo no e allora mi sa che me l’ero immaginato io tutto da solo, per colpa di Santa Teresa.

martedì 25 novembre 2014

A passeggio con il campionato (12)


Milano – Un derby così brutto (pieno di ripetuti rimpalli, grossolani errori tecnici) che mi era venuto il cafard e avevo pensato a Emil Cioran raggiunto nel 1937 dalla telefonata dell’editore che aveva deciso di non pubblicare Lacrime e santi.
“Ho fatto la mia fortuna con l’aiuto di Dio, non posso pubblicare il suo libro.”
“Ma è un libro profondamente religioso.”
“Sarà, comunque non ne voglio sapere.”
“Io devo lasciare il paese, devo andare a Parigi per un mese, non posso partire in queste condizioni.”
“Non ne dubito, ma il suo libro non lo voglio.”
Così Cioran era andato in un caffè di Braşov disperato, piuttosto affezionato a Lacrime e santi perché frutto di una profonda e insonne crisi religiosa si chiedeva cosa poter fare, nel caffè aveva incontrato un uomo che conosceva poco il quale vedendolo particolarmente abbattuto gli aveva chiesto il motivo di tanta tristezza. Ascoltato il lamento dello scrittore, l’uomo aveva concluso:
“Guardi, di professione io faccio il tipografo, anzi lo stampatore. Il suo libro lo pubblico io.”
Allora Cioran aveva lasciato la Romania maggiormente sollevato, Lacrime e santi era uscito in sua assenza e aveva avuto una pessima accoglienza, i suoi genitori si erano trovati in una situazione molto delicata. Sua madre gli aveva scritto a Parigi:
“Io capisco il tuo libro e tutto quanto, ma non avresti dovuto pubblicarlo prima della nostra morte, hai messo in difficoltà tuo padre che è un prete e io che sono presidente delle donne ortodosse, in città sono derisa.” Eppure, essendo stato pubblicato senza editore e non avendo distribuzione, probabilmente la maggioranza delle copie era andata distrutta. Una cosa tipicamente balcanica.

Quindi sono tornato all’agghiacciante derby di Milano, ma il cafard non era per niente passato. Dopo il bel gol d’interno al volo di Jeremy Menez e il tiro strozzato dal limite angolato di Obi le due squadre cercavano impotenti di fabbricare sul campo qualcosa di simile al concetto di azione, con i soli risultati apprezzabili di un clamoroso errore sotto porta di Stephan El Shaarawy che riusciva, solo davanti al portiere, a scheggiare la parte alta della traversa, e di un incrocio dei pali inventato da Mauro Icardi con una intelligente, rallentata girata di destro su cross dalla destra. Milan-Inter terminava uno a uno, nonostante il nervoso e mistico tentativo al novantesimo di Pippo Inzaghi di spingere con il piede dall’area tecnica della panchina il pallone in rete, nella santa speranza che a cinquanta metri di distanza il noioso e poco utile Poli percepisse telepaticamente il corretto movimento da eseguire per centrare la porta. Impossibile, fuori. Alla sua prima, seconda volta da nuovo allenatore dell’Inter Roberto Mancini guadagnava neutro il tunnel degli spogliatoi in cappotto scuro, sciarpa annodata e pantaloni chiari. Il simpatico difensore del Milan Adil Rami dichiarava invece con onestà nelle interviste del dopo partita che lui le partite non le sapeva analizzare perché prima di giocare a calcio faceva il meccanico, e quando in Francia gli avevano comunicato che avrebbe fatto il calciatore non ci aveva creduto. Al giudizio finale, verranno pesate soltanto le lacrime.

martedì 11 novembre 2014

A passeggio con il campionato (11)


Milano – Sarà capitato anche a voi di svegliarvi nella notte per controllare quanti libri di Beppe Fenoglio avete in libreria. A me è capitato domenica scorsa e non è la prima volta, certo non sempre per Beppe Fenoglio altrimenti sarei un imbecille o almeno un individuo dotato di poca memoria. Comunque ho aperto gli occhi erano le quattro e trentacinque, guardando il buio soffitto della camera da letto mi sono chiesto:
“Ma io quali romanzi ho letto di Beppe Fenoglio?”
mi sono alzato e ho spiato mia moglie e mio figlio dormienti, era il caso di svegliarli? Quanti libri avevano letto loro di Beppe Fenoglio? In soggiorno ho calpestato con lentezza il legno del vecchio parquet per non dare fastidio a nessuno, ma scricchiolava lo stesso, ho acceso la luce e illuminato I ventitré giorni della città di Alba, La malora, Primavera di bellezza, Il partigiano Johnny, Una questione privata, Diciotto racconti e un pregevole volume biografico per immagini a cura di Franco Vaccaneo, acquistato nel 2001, che avevo quasi scordato di possedere. Le opere, i giorni, i luoghi. Uno di quei volumi che fino a qualche anno fa si potevano trovare in quantità nelle librerie remainders anche in centro a Milano, prima che il caro affitti, l’esasperato sviluppo tecnologico e la sconfortante idiozia di un popolo non lettore portasse molti di quei sacri luoghi alla chiusura. Ho passato un’ora a sfogliarlo e a rileggerlo, prima di abbandonare l’insonnia partigiana per guadagnare almeno due ore di sonno in funzione della veglia lavorativa. Di ritorno dal turno non era cambiato molto a casa Savio a parte gli altri componenti della famiglia questa volta in piedi ad aspettarmi. Ho girato la chiave nella serratura e ancora prima di terminare la prima rotazione ho sentito con chiarezza quella voce conosciuta a un discreto volume:
“Papino! Papino!”
e poi, un passo dentro l’abitazione:
“Giochiamo alle macchinine?”
Ho riposto va bene Pietro, mangio qualcosa e arrivo.
“Ma poi giochiamo alle macchinine?”
“Sicuro.”
“Dai giochiamo alle macchinine?”
“Si può fare, ma perché invece non giochiamo un po’ a Beppe Fenoglio?”
“Cosa?”
“A Beppe Fenoglio.”
“Alle macchinine.”
“A Beppe Fenoglio.”
“Alle macchinine.”

Dopo pranzo, abbiamo giocato alle macchinine. Beppe Fenoglio faceva l’impiegato in un’azienda vinicola. Per via delle lingue che conosceva gli avevano affidato l’esportazione. Compilava lettere di accompagnamento per partite di Vermut e spumanti, lavoro abbastanza noioso tutto sommato ma così poco impegnativo che, eludendo la sorveglianza dei principali, gli consentiva di mandare avanti anche quello di scrittore. Tra una pratica e l’altra infatti, e usando per precauzione la stessa carta intestata della ditta, scriveva interi capitoli dei suoi libri che a casa riscriveva e rifiniva.
Poi dopo i parcheggi, gli incidenti e i capovolgimenti di automobili verdi, rosse, blu, gialle e grigie Pietro mi ha chiesto:
“Papà, ma la Uve quanto ha fatto?”
e io:
“Pensa, ha vinto sette a zero.”
“Ah.”

lunedì 3 novembre 2014

A passeggio con il campionato (10)


Gussago – Esistono ancora, sia pure in forte minoranza, italiani intelligenti, scriveva Guido Ceronetti a proposito del loro rapporto attuale e antico coi crisantemi in particolare quando si avvicina la giornata istituzionale consacrata alla memoria dei defunti. Lo leggevo dopo aver mangiato in Franciacorta, Guido Ceronetti, spezzatino e polenta, un bicchiere di vino rosso, ma ancora sufficientemente lucido per apprezzare l’articolo e consolarmi in merito all’acquisto del quotidiano che al mattino avevo pensato di prendere in edicola, ero in vena di follie dopo essermi svegliato presto di fronte a un sabato di non lavoro. Me n’ero pentito quasi subito di aver pensato al giornale come momento di lettura, ne avevo di libri in attesa dentro lo zaino o sulla scrivania, ma poi avevo letto dei crisantemi, degli italiani, l’euro e quaranta non era stato buttato totalmente nel tombino, passeggiando in paese una ragazza bionda in mutande cantava qualcosa dentro uno schermo televisivo sbucato dalla vetrina di un bar, le sue movenze erano comiche per convinzione e interpretazione, per capire qualcosa di più ero entrato e avevo ordinato un caffè, la ragazza bionda sotto le mutande nere vestiva solo con delle calze sempre nere che le arrivavano oltre la metà superiore delle cosce, non era certamente il mio tipo, si appoggiava allo stipite di una portafinestra e in sofferenza recitata annunciava che amava sbagliare, amava farsi del mare, ogni pezzo di pelle…
Un’altra canzone imbarazzante pronta a scalare le vette delle classifiche, non esistevano italiani intelligenti, un pomeriggio di vent’anni fa ero uscito di casa per comprare il cd dei Nirvana – Unplugged in New York, un pomeriggio di vent’anni fa il 1 novembre del 1994, ricordavo alla ragazza in mutande che adesso si lasciava cadere all’indietro sulla parete azzurra usando come freno il sedere, sentiva il peso l’aria, voleva che qualcuno non la facesse respirare, pregava che qualcuno la lasciasse fare, ogni amore sbagliato aveva il suo costo, quel che era stato lei lo teneva nascosto…
Roba da matti, che capolavoro l’Unplugged in New York, Kurt Cobain si era presentato alla registrazione in astinenza cercando di spiegare che aveva bisogno di “pollo fritto”, ma nessuna farmacia aveva il Valium e aveva dovuto far da solo organizzando una “consegna” in uno dei rari momenti in cui non vomitava, aveva paura di non reggere e di andare nel panico, temeva che il pubblico non l’applaudisse. Fuori dal bar un sindacalista mostruoso gridava che bisognava finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli, di chi abusava di alcol e droghe, di chi viveva al limite della legalità, di chi disprezzava la propria salute, di chi viveva una vita dissoluta. Ne avevo abbastanza e pensavo a Tom Kromer preso a bastonate dalla polizia perché vagabondo nell’America della Grande Depressione, picchiato il necessario per scrivere un romanzo Tom, l’unico della sua vita, dedicato a Jolene che quella volta aveva chiuso il gas. Sono tornato a casa e il Napoli vinceva due a zero sulla Roma, Higuain e Callejon, Waiting for Nothing tradotto con Un pasto caldo e un buco per la notte era tra i volumi che mi aspettavano impilati sulla scrivania, abbandonato da una paio di settimane a pagina cinquanta annegato fra altri libri che non ho tempo di finire. L’ho incartato in una busta regalo, sono uscito di nuovo in strada alla ricerca di una buca per le lettere a Gussago e l’ho spedito senza crisantemo alla memoria di Stefano Cucchi.

giovedì 30 ottobre 2014

A passeggio con il campionato (9)

 



















Brescia – Così mio padre è morto e io sono andato allo stadio, poi dicono perché ami tanto il calcio. Ma era gennaio e Michel Platini giocava contro il Brescia al Rigamonti, ormai senza papà al macellaio del quartiere era venuto in mente di portarmi perché lui aveva l’abbonamento in tribuna, grazie Luigi, era così pieno che con altri bambini stavamo accosciati in prima fila spiando nei rettangoli lunghi grigi creati dalle inferriate, tanto nessuno dei trentamila vedeva niente anche se qualcuno sosteneva di aver visto qualcosa, era una giornata infame, nevicava da giorni e nemmeno la domenica aveva smesso quindi il campo era completamente bianco, il pallone arancio, il Brescia azzurro con la consueta V bianca, la Juventus a strisce bianconere. Ci facevano anche male le ginocchia a forza di restare piegati, non vedevo Platini e dopo che era morto mio padre questa ulteriore mancanza di visione mi sembrava davvero eccessiva e sintomo di accanimento, ma non si trattava di una faccenda personale, anche il macellaio in automobile lontano da occhi indiscreti sulla strada del ritorno mi avrebbe confessato di non aver visto nulla, che la partita era finita 0-0 nonostante una traversa di Laudrup, un palo di Serena, una grande occasione per Branco e un goal annullato a Brio dall’arbitro Agnolin.
Quindi trent’anni dopo nel giorno dell’eventuale settantaduesimo compleanno di Guerrino mi sono brevemente addormentato dopo pranzo da mia madre e poi siamo andati al cimitero di San Bartolomeo, il caos per trovare parcheggio era simile a quello di una partita perché il Giorno dei Morti si faceva vicino e nessuno voleva fare brutta figura, abbiamo preso la scala grande in ferro per arrivare alla tomba in alto come avevamo fatto per anni ogni domenica mattina, Pietro a tre anni osservava con attenzione questo luogo dove tutti innaffiavano i fiori, dove certe lastre scure di pietra sdraiate per terra sembravano laghi, e quando mi ha chiesto:
“Che ci facciamo qui?”
Io gli ho detto siamo venuti con la nonna che deve dare da bere a tutti questi fiori, è un posto dove la gente viene a dare da bere ai fiori, il giorno del 1987 in cui non ho visto Michel Platini mai avrei pensato che vent’anni dopo sarei riuscito addirittura a pubblicare un romanzo che parlava di mio padre e di Michel Platini, a vederlo tradotto in Francia, ancora meno che avrei ricevuto un biglietto di ringraziamento da parte di Andrea Agnelli per avergli regalato egoisticamente una copia di Mio padre era bellissimo, tutte cose che non contano nulla eppure mi hanno fatto un enorme piacere.
Siamo usciti dal cimitero facendo sgranocchiare i sassolini sotto le scarpe, Pietro voleva un gelato nonostante il freddo, tornati a casa dagli altri nonni dopo cena ho visto al computer con il segnale che saltava ogni 5 secondi una partita orrenda, prima inutile poi sfortunata per via di due pali colpiti. Ad un quarto d'ora dal termine il segnale è scomparso definitivamente e sul display è comparsa la scritta Errore 404. Tanto finisce 0-0, pensavo mentre mi lavavo i denti fingendo di non far caso al risultato, ma ho saputo in seguito che al novantaquattresimo Matri ha colpito al volo mettendo al centro dove Antonini da pochi passi ha appoggiato la palla in rete alle spalle del cinquecento volte bianconero Buffon. Il Genoa ha battuto la Juventus uno a zero, Pietro mi ha detto:
“Allora che si fa prima di dormire leggiamo una storia o me ne racconti una di quelle tue inventate?”
Io gli ho risposto una delle mie inventate, poi si è addormentato e ho letto per dieci minuti il nuovo libro Bompiani di Michel Platini.

martedì 28 ottobre 2014

A passeggio con il campionato (8)


Milano – C’era un vento a Milano e una luce che sarebbe piaciuta a Meister Eckhart, dicevo a me stesso passeggiando a fatica verso il dottore con un dito tagliato, non il dottore ma io, che la sera prima avevo infilato senza la consueta cura un piatto nella lavastoviglie centrando un coltello seghettato posizionato con la punta verso l’alto, di quelli ottimi per tagliare la carne o la pizza. Spargimento di sangue, pollice sotto l’acqua fredda, rosso che se ne va, tutto in apparenza sanato ma al mattino seguente il dito gonfio come una noce, difficoltà a muoverlo, la decisione di recarmi dal dottore e non al lavoro. Mercoledì pomeriggio, a Milano, come ogni volta che vado dal dottore e penso a ripetizione la prosa migliore per spiegare il mio malessere, fortunato il mio dottore, Meister Eckhart In agro dominico, la bolla papale in cui venivano censurate ventisei sue proposizioni.
Guardi un banale incidente domestico, ho detto alla fine al dottore, ieri sera mentre infilavo un piatto nella lavastoviglie ho centrato un coltello con il seghetto, uno di quelli ottimi per tagliare con facilità la carne e la pizza, all’inizio sembrava solamente un taglio, questa mattina invece non riuscivo a muoverlo, il pollice, ho pensato di venire da lei in compagnia di Meister Eckhart. Quando ho terminato la mia esposizione spiegando l’impossibilità, con un pollice in simili condizioni, di poter espletare correttamente il mio lavoro di libraio, lei mi ha detto:
“Ah, lavora in libreria. Quale? Mi consiglia un bel romanzo? Cosa ne pensa ad esempio di Tiziano Terzani?”
Io le ho risposto Feltrinelli piazza Piemonte venga a trovarmi, qualcosa di professionale in merito al romanzo adatto ai suoi gusti, per quanto riguarda Tiziano Terzani invece altro relativo alla fama di una persona in vita e successivamente dopo la morte, a una certa, tipica serialità di alcune pubblicazioni moderne, ha presente piuttosto Meister Eckhart? Pensavo a lui camminando verso lo studio medico, per via di questo vento e di questa luce, egli parlava dal punto di vista dell’eternità, ma spesso veniva inteso dal punto di vista del tempo. Con un dito come una noce in ogni caso è improbabile digitare correttamente i numeri sul display della cassa numero 7, lei mi ha interrotto affermando:
“Non c‘è dubbio. E ho capito ciò che intende su Terzani, ma la sua rubrica settimanale non dovrebbe trattare di calcio, del campionato?”
Sì, proprio di questo le stavo parlando, e consultando il calendario della Serie A, avrà notato che la prossima settimana ci saranno tre partite in sette giorni. Restando alle favorite: Juventus contro Palermo, Genoa ed Empoli. Roma contro Sampdoria, Cesena e Napoli. Non potrà sfuggirle che totalizzando 9 punti in tre partite per la Vecchia Signora potrebbe materializzarsi la prima fuga stagionale, seppur a circa un quarto di torneo. Ma anche con 7 punti in tre partite per i bianconeri, escludo che i giallorossi ne possano ottenere altrettanti considerando la forza di Sampdoria e Napoli.
Poi sono uscito dalla discussione medica, nei giorni seguenti quel vento e quella luce a Milano non si sono più ripresentati, per studiare con attenzione Meister Eckhart uno dovrebbe trascorrere almeno un mese in completa solitudine altrove e potrebbe non bastare, sabato la Roma è stata fermata sullo 0-0 dalla Sampdoria mentre domenica la Juventus ha sconfitto il Palermo per 2-0. 

mercoledì 22 ottobre 2014

A passeggio con il campionato (7)


Milano – Poi è arrivato un taxi bianco è scesa Elisabetta Sgarbi bella con gli occhiali verdi e lo smalto rosso, Sandro Veronesi fumava fuori dalla libreria circondato dai Bompiani, io sostavo davanti alla vetrina dove stavano esposti Daria Bignardi e Aldo Cazzullo. L’avevo fatta io quella vetrina ma al mattino, il privilegiato mestiere di libraio comporta un certo tipo di espiazioni che vi lascio immaginare, come tutti i mestieri mi direte e infatti mica sostengo il contrario, precisamente alle otto e cinque avevo raggiunto il marciapiede esterno al negozio per mimetizzarmi meglio nel buio dell’alba con due grandi cartonati pubblicitari raffiguranti Aldo Cazzullo e Daria Bignardi, avevo sistemato i loro volti enormi in posa televisiva pensante in modo da disegnare uno schema geometrico rispetto alle copie dei volumi col bollino Novità, diciamo un appena percettibile rombo. Ma adesso il turno era finito, il pomeriggio volgeva alla sera e potevo spiare dal centro di corso Vercelli, stando solo attento che non mi travolgesse il tram numero 16, verso sinistra in lontananza la Madonnina del Duomo risplendere illuminata, verso destra Sandro Veronesi fumare con un piede appoggiato allo scalino, Elisabetta Sgarbi entrare in libreria con gli occhiali verdi e lo smalto rosso mentre Umberto Eco invece no, che si accomodava in prima fila nel prestigioso ruolo di spettatore. Sfioravo con le dita nella tasca della giacca leggera il volume arancio di alcune conversazioni di Cioran, Un apolide metafisico, quindi la presentazione di Terre rare aveva inizio, il conduttore partiva molto alto citando la recensione del Corriere della Sera che aveva parlato di capolavoro e di John Steinbeck, Veronesi si prendeva meno sul serio ma con professionalità, una ragazza volgare prima mi dava una gomitata eccessiva rispetto al numero dei partecipanti, poi sussurrava all’amica prima di aggredire il bancone del Caffè La Feltrinelli:
“Che sbattimento di coglioni, che sbattimento di coglioni”.
Ma non era affatto così, allora che ci stai a fare qui stupidella, anzi Sandro Veronesi mi faceva venire voglia di comprare il suo romanzo pur avendo pochi soldi già al 14 del mese, nel finale leggeva il brano del “martelletto Michelin” che faceva ridere amaro con la pancia e ben rappresentava il suo talento, andate a cercarlo nelle pagine di Terre rare, mi veniva voglia di dargli una pacca sulla spalla, di regalargli egoisticamente e con ammirazione una copia del mio Fuorigioco antipatico, di chiedergli dopo tante piacevoli  chiacchiere letterarie un pronostico sulle partite del fine settimana: Roma-Chievo e Sassuolo-Juventus. Del resto anche Bohumil Hrabal un giorno disse:
“Dell’Italia amo, soprattutto, Ungaretti e la Juventus”.
Mentre l’invisibile Thomas Pynchon al suo agente letterario italiano chiede spesso:
“Roberto, quanto ha fatto la Juventus?”
Queste due cose me le ha dette Darwin Pastorin.

martedì 7 ottobre 2014

A passeggio con il campionato (6)


Milano – Alda Merini ha smesso di scrivere per un ventennio, mi ricordava Maria Corti nell’essenziale, fondamentale introduzione a Vuoto d’amore. Per la precisione dal 1961 al 1979, che a ben vedere sono diciotto anni, ma non mi sembrava il caso di fare il matematico camminando verso il lavoro come quasi ogni mattina verso le sette e quaranta. Vent’anni pensavo, da Tu sei Pietro a La Terra Santa. Tu sei Pietro per ovvie ragioni paterne attirava il mio interesse. Vent’anni di internamenti, di salute e di malattia, vent’anni di silenzio. Alda Merini non ammessa da ragazzetta al Liceo Manzoni perché respinta, in italiano!, conferma che la scuola nei riguardi degli artisti non tradisce mai le proprie tradizioni, mi ricordava Maria Corti. Così procedevo, l’orologio verde pubblico sempre rotto di via Veronese faceva le undici e venti da qualche mese e talvolta lo ammetto pensavo di essere in ritardo, oggi quanti smetterebbero di scrivere per diciotto anni, nell’attuale incombente cultura dello spettacolo è necessario resistere alla tentazione di dilatare leggende che fioriscono sulla follia, il disordine mentale, l’orrore quotidiano come miti dell’immaginario, mi ricordava Maria Corti. Ma poi, entrato in un bar per un caffè, dopo l’incrocio tra via Buonarroti e via Marghera, una radio parlava dei tumulti scoppiati nella notte in diverse città d’Italia e in particolare a Roma, di squadriglie non ben identificate eppure note alle forze dell’ordine che avevano rapito e preso in ostaggio l’arbitro Gianluca Rocchi trasportandolo dalla sua casa di Firenze al centro sportivo di Trigoria. Il decimo miglior arbitro del mondo nel 2013 secondo l’IFFHS, organismo riconosciuto dalla FIFA per statistiche e record riguardanti la storia del calcio, veniva quindi liberato dai lacci che gli stringevano i polsi e dal cappuccio che gli impediva la vista per guardare e riguardare su un maxi-schermo gli errori commessi durante Juventus-Roma e venire giudicato di conseguenza colpevole dal tribunale sportivo del popolo giallorosso. La pena comminata era la più feroce e di moda del periodo: la decapitazione con video su youtube. Non si trovava tuttavia il coltello adatto, Rudi Garcia allora ingannava il tempo suonando con la chitarra El Porompompero, sulla superficie dell’Italia navigavano intanto barzellette e frasi ripetute a pappagallo sulla Juventus che rubava come sempre, il parlamentare del PD Marco Miccoli prometteva di presentare un’interrogazione al ministro dell’Economia ed un esposto alla Consob dopo i fatti che si erano registrati durante la partita di domenica, ma su questo versante la minoranza non estremista pur presente nel Paese restava tranquilla conoscendo il valore di certe promesse politiche e la velocità media dei lavori a Montecitorio. Reperito quindi il coltello si procedeva al taglio, ma anche vedendo e rivedendo il filmato dell’esecuzione non si riusciva a stabilire con certezza se la testa di Gianluca Rocchi avesse o no superato la linea bianca tracciata sul terreno di gioco dal capitano Francesco Totti, che a suo dire da tanti anni perdeva così ma non si capiva bene cosa. La memoria della testa tagliata scompariva, Poroppoppo-Poro-Porompompero-Pero, il risultato omologato restava comunque Juventus 3 Roma 2 con doppietta su rigore di Carlos Tevez, gol per i giallorossi di Totti su rigore e Iturbe, rete decisiva molto bella di Leo Bonucci con un tiro al volo dal limite a quattro minuti dal novantesimo. Eppure Alda Merini avrebbe faticato e non poco a trovare un editore dopo aver ricominciato a scrivere sopravvissuta agli anni di manicomio che era stato per lei parola assai più grande delle oscure voragini del sogno, grande cassa di risonanza dove il delirio era diventato eco. Uscivo dal bar, superavo l’edicola dei giornali ripieni di titoli comici e strillati relativi alla partita di calcio, giravo a sinistra in piazza Piemonte, guardavo come sempre verso via Washington i due grattacieli gemelli e un po’ diversi di Mario Borgato e timbravo il cartellino.

martedì 30 settembre 2014

A passeggio con il campionato (5)


Milano – Stento a ricordarlo ma da ragazzo passavo anche mezz’ore di fronte alla scaffale di Poesia della Feltrinelli di Brescia in via Mazzini, adesso non andate, c’è una Mondadori, la Feltrinelli si è spostata da qualche anno in corso Zanardelli, ma va anche sottolineato come i loghi luminosi fuori dai rispettivi negozi non siano poi così diversi, quelli di Mondadori e Feltrinelli, girate la Emme e troverete la Effe. Comunque stazionavo davanti alla Poesia, Sandro Penna e Giovanni Giudici, non era sempre breve il tempo necessario alla decisione, quindi mi giravo e andavo a pagare alla cassa, con alcuni librai della città dove sono nato adesso ci conosciamo meglio, anche se meno di quello che vorrei. Uscivo dalla libreria di via Mazzini, camminavo e camminavo alla ricerca di nuove prospettive, non sapevo cosa significasse essere flâneur, Charles Baudelaire, Walter Benjamin, Robert Walser, essere un botanico da marciapiede. Ascoltavo musica, guardavo le ragazze, mi ritrovavo a compiere gli stessi giri perché alla fine Brescia non era così grande, trasferito a Milano a lavorare in una libreria Feltrinelli avevo finalmente aggiunto nuovi percorsi alle mie canzoni.
La collezione di poesia Einaudi, detta generalmente “collana bianca”, è nata nel 1964. Per festeggiare il compleanno del mezzo secolo cinquanta poeti italiani che hanno pubblicato nella collana offrono ai lettori una loro poesia inedita. Sfoglio in libreria il volumetto da regalare al cliente in caso di acquisto di due libri della collana ma passano i giorni e non li compra nessuno, i libri della collezione di poesia Einaudi. Generalmente in pochi acquistano un libro di poesia figuriamoci due, allora me lo porto in cassa 50 anni di bianca e leggo:

Meraviglia dello stare bene
quando le formiche mentali
non partoriscono altre formiche
e si sta leggeri come capre sulla rupe
della gioia
(Mariangela Gualtieri)

Mi sembra la migliore.
Arriva un cliente che mi dice:
“Certo che far pagare i sacchetti di carta, proprio voi che vendete i libri di carta…”
“In che senso?”
“No dico, vendete i libri di carta però i sacchetti di carta li fate pagare, assurdo.”
“Perché è assurdo?”
“Assurdo.”
Sparati, penso. Che ne sai tu della meraviglia dello stare bene, quando le formiche mentali non partoriscono altre formiche e si sta leggeri come capre sulla rupe, della gioia.
Finisco il turno lavorativo e mi metto a passeggiare con la musica di quando ero ragazzo nella testa, sono flâneur a Milano e Caterina questa tua canzone la vorrei veder volare sopra i tetti di Firenze per poterti consolare.
Mancavano pochi minuti al novantesimo e Mattia Destro contro il Verona ha stoppato di petto prima di calciare dopo un rimbalzo all’improvviso quasi dal cerchio di centrocampo. Il pallone è finito in rete disegnando una collina, con il portiere che si è messo a correre all’indietro disperato ma è finito accartocciato. 

giovedì 25 settembre 2014

A passeggio con il campionato (4)


Sestri Levante – Tirando le somme ho conosciuto tre Dino Zoff in vita mia: lui, mio zio e le uova che mia madre metteva nel frullatore. Lui lo conoscete tutti, se volete approfondire lo studio dell’uomo e del campione potete leggere la biografia appena uscita per Mondadori scritta a dire il vero in collaborazione con un giornalista che non stimo, e infatti niente di più da un punto di vista narrativo che un susseguirsi di ricordi, ma dall’ottimo titolo Dura solo un attimo, la gloria. Mio zio invece non era Dino Zoff, nonostante si chiamasse Dino e avesse la barba, non che Dino Zoff avesse la barba adesso che ci penso, ma da bambino mio zio Dino per me era Zoff, parlava poco come lui, stava tendenzialmente  in disparte durante i pranzi parentali di Pasqua e Natale, teneva alla Juventus anche se con moderazione (ogni cosa in lui era moderazione) per questo talvolta gli chiedevo:
“Ma zio, tu davvero non sei Dino Zoff?”
Lui diceva No con la sua voce baritonale, non sono Dino Zoff ma solamente Dino, tuo zio. Io pensavo eppure ci assomiglia, stai a vedere che mio zio è Zoff ma non vuole dirmelo, crescendo una cugina osservando una fotografia in bianco e nero dello zio Dino con il cappello di paglia avrebbe affermato:
“Guarda, lo zio pare Hemingway.”
Io avrei risposto accipicchia che parabola esistenziale: prima Zoff, poi Hemingway.
Per quanto riguarda le uova invece, mia madre aveva scoperto che da ragazzino il futuro e tranquillo portiere mondiale era piccolo, troppo piccolo di statura tanto che la nonna aveva pensato di fargli mangiare un uovo al giorno fino a farlo divenire grande, almeno sufficientemente per parare. Anche io esitavo ad alzarmi in centimetri, così mia madre aveva cominciato a fare dei frullati dopo pranzo, interrompendo il mescolamento di latte e frutta per calare dall’alto nel basso del frullatore un tuorlo d’uovo perché aveva letto da qualche parte che pure la nonna di Zoff, eccetera. Io tornando da scuola diffidavo, non mi andava l’uovo nel frullato, ascoltavo il rumore della frutta e del latte che si mischiavano attraverso il piccolo elettrodomestico interrompersi improvviso, poi ripartire, il tempo in teoria necessario a mia madre per aggiungere l’uovo al frullato, mia madre negava risoluta di aver corretto il beverone, io andavo a verificare nella pattumiera e trovavo la prova del guscio buttato che svelava il mistero. Poi avevo imparato a berlo lo stesso per diventare grande.
Così, quando trent’anni dopo leggendo il quotidiano del noioso Barbapapà sono capitato per caso dentro un articolo che annunciava l’uscita della biografia di Dino Zoff mi sono detto andiamo a controllare questa storia delle uova. Ho chiamato al telefono mi madre e le ho detto:
“Ti ricordi quella vecchia faccenda delle uova? Vado a controllare.”
Mia madre ha detto:
“Fammi sapere.”
Così sono andato a Sestri Levante ma pioveva e mi sono rifugiato in una piccola libreria Mondadori. La biografia c’era ma costava 17 euro e 50, decisamente troppi. Mi sono limitato a cercare rapidamente tra le pagine la storia delle uova e poi sono uscito proseguendo senza più gocce in testa fino alla Baia del Silenzio. C’era poca gente, quasi tutti fuggiti gridando per la pioggia di cui sopra. Con Pietro abbiamo tirato i sassi nel mare consapevoli della difficoltà del rimbalzo. Nel turno infrasettimanale, mi riferisco per la precisione alla quarta giornata, Juventus e Roma hanno vinto rispettivamente con Cesena e Parma mantenendo la testa della classifica a punteggio pieno.

lunedì 22 settembre 2014

A passeggio con il campionato (3)


Chiavari – Mangiavo farinata e alici fritte da Vittorio (osteria con cucina, Chiavari) mentre Milan e Juventus si apprestavano a scendere in campo, a Milano, avvenimento che tuttavia il vino bianco mi faceva quasi scordare mentre osservavo la gente in fila appoggiata al muro in attesa che noi finissimo, si trattava di persone in ritardo oppure non consapevoli che da Vittorio arrivare alle 19.30 significa accodarsi a un attesa nervosa almeno fino al creme caramel o al tirami su consumato da chi ti ha preceduto e ti guarda dal tavolo, conoscitore del luogo e delle abitudini, cercando di mantenere la lentezza del pasto perché ci mancherebbe non può essere colpa nostra. Mangiavo farinata e alici fritte da Vittorio e pensavo a quale era la migliore, di farinata, se quella di Vittorio o quella di Baiciotto, sempre Chiavari, che avevo provato solamente due sere prima, se soggiorni in Liguria per qualche giorno è un delitto non mangiare la farinata. Comunque mangiavo e bevevo, consapevole della mia religiosa mortalità grazie al buon vino, piazza Fenice mi era piaciuta anche l’altra volta quando mi ero messo a giocare a pallina con Pietro, adesso invece campeggiava un cartello con scritto “Vietato il gioco della palla”, l’avevano mica messo per noi? In ogni caso la loro colpa linguistica li avrebbe accompagnati all’inferno, si chiama calcio non gioco della palla. I murati vivi guardavano impazienti battendo a terra le infradito, buono il tirami su andate almeno a casa a cambiarvi, dicevo a Marco che a Milano non si trovano più posti come Vittorio dove mangi bene secondo la tradizione popolare non divenuta moda meneghina così abile ad alzare prezzi e ridurre porzioni, maledetta capitale del Nord, a Roma ad esempio avevo mangiato da Mario, a pochi passi dal Pantheon provando tuttavia sensazioni simili a quelle di Vittorio, alla parete stavano appese fotografie della Lazio se non ricordo male. Ma qui, la sera di Milan-Juventus a Chiavari, arrivavo a pensare che se l’Entella mi avesse proposto un biennale per concludere la carriera avrei potuto anche accettarlo, io Pirlo della Riviera umile a scendere di categoria tanto ormai avevo trentanove anni e un figlio stupendo, ascoltavo lontane le note di un disco di Nick Drake addormentarsi nel mio cervello, facciamo Bryter Layter, mentre a San Siro Barbara Berlusconi esibiva la sua maglietta attillata del Milan sotto la giacca di pelle buona tuttavia per distrarre gli spettatori ma non i calciatori Alexandre Pato escluso, in campo infatti i rossoneri stavano arroccati in nove al confine delle loro oggettive e attuali possibilità, diciamo il limite della propria area, mentre la Juventus seppur lentamente dava l’impressione del cobra che prima o poi avrebbe morso, colpito, ucciso la giovane preda. L’omicidio sarebbe avvenuto al ventiseiesimo del secondo tempo grazie a Carlos Tevez, beffardo nello scivolare prima di toccarla per Pogba, sornione fino a quel momento ma illuminato nell’immaginare un triangolo di ritorno per il grasso argentino poi infantile nel superare Abbiati con un tocco di piatto e infilarsi un ciuccio in bocca: Milan 0, Juventus 1. Io ne approfittavo per alzarmi dalla sedia e sentire il sospiro degli aspettanti pronti a sferrare l’attacco decisivo al menù da troppo agognato, arrivederci Vittorio, tornando all’automobile Chiavari sembrava Napoli con i motorini truccati e corso Garibaldi infestato da un locale per giovani ritardati caratterizzato da una musica da discoteca propagata oltre il livello del respiro condominiale da un gestore impunito e probabilmente protetto. In cinque giorni di mare non avevo letto nulla, scritto nulla, solo vissuto e pensato qualcosa che poi forse avrei dimenticato, e allora quale libro mettere a passeggio con il campionato, Mosca-Petuskì poema ferroviario di Venedikt Erofeev, povero disgraziato, nato nel ’38 e morto nel ’90, capace in vita di numerosi mestieri tra i quali il disoccupato (in Unione Sovietica, dove la disoccupazione non esisteva) e a lungo senza fissa dimora (in Unione Sovietica, dove non si poteva essere sena fissa dimora), oggi uno dei più conosciuti, imitati, ammirati, odiati, calunniati, malsopportati autori russi del Novecento.

lunedì 15 settembre 2014

A passeggio con il campionato (2)


Milano - Provo quasi un malessere fisico quando mi reco al lavoro domenicale, i cattolici entrano a messa al piccolo trotto, sorvolati dai piccioni, donano al mendicante immigrato appollaiato sugli scalini un paio di spiccioli, anche se puzza un po' e loro sono tutti vestiti così bene. Ma poi mi passa, dico la storia del lavoro domenicale, entro in libreria e prendo il romanzo o il saggio che nel corso della settimana mi ha più colpito, lo appoggio al mio fianco nella postazione che mi spetta, ultimamente a sorpresa la cassa numero 7, consapevole e speranzoso che al momento opportuno tornerà utile come ancora di salvataggio quando le code dei clienti si faranno lunghe, e semplici lobotomizzati oppure raffinati (ai loro occhi) radical chic inizieranno a sbuffare per l’attesa, fregandosene dei perché e del contratto di solidarietà. Talvolta basta uno sguardo al mio amico libro per ritrovare contatto con la realtà, continuare a fare il mestiere che preferisco e che mi viene negato, questo week end è la volta di Ugo da Guzzano, di Ugo Cornia e dei suoi Animali (topi gatti cani e mia sorella), di una casa di famiglia sull’Appennino bolognese, di una vecchia casa dove gli animali sono una presenza nota. Non che io ami particolarmente gli animali, specie i cani trasformati in sottospecie umana da noiosi padroni di bestie che spesso mi capita di sorprendere mentre ad esempio infrangono le leggi del raccoglimento dell’adorata cacca o del guinzaglio obbligatorio nei parchi pubblici, ma lo stile di Ugo Cornia che mastico da anni quello sì, con quel suo in apparenza grazioso non prendersi sul serio in un mondo letterario dove invece, poi non lo so.
Ma ecco spuntare tra la folla il noto giornalista con le sue belle bretelle e il suo serafico sorriso:
“Buongiorno Francesco, che ne dice di consigliare il mio nuovo libro? Ha visto le mie bretelle? Il mio serafico sorriso?”
“Certo signore, le sue bretelle non passano inosservate, e nemmeno il suo serafico sorriso. Però guardi per via del libro ci penso, al momento sto già consigliando Animali (topi gatti cani e mia sorella) di Ugo Cornia, non vorrei fare confusione. Tuttavia se lei salta la barricata e batte qualche scontrino al posto mio possiamo trovare un accordo, Walter Mazzarri si è rotto una mano contro il filo spinato, oppure cadendo dalle scale e vorrei verificare di persona.”
Il giornalista allunga la bretella con un dito, prende la rincorsa e salta dentro al loculo di legno e vetro che costituisce il mio soggiorno per fortuna non definitivo, sono momentaneamente libero e posso così recarmi allo stadio Meazza in San Siro dove Mazzarri, probabilmente per via della scivolata scalina che gli ha fatto percepire l’esile provvisorietà dell’esistenza, propone una formazione spregiudicata con addirittura i qualitativi Kovacic ed Hernanes a supporto delle punte Icardi e Osvaldo, il tutto ben bilanciato dal temibile Medel, molto più di un feroce pitbull. L’allenatore Eusebio del Sassuolo invece risponde con un 4-3-3 caratterizzato dal tridente offensivo Berardi-Zaza-Sansone, ma da subito si mette a sedere sul lettino del personale calcio psicologico ed espone al medico tutta l’incoscienza del proprio bagaglio zdzenekzemaniano. Andrà a finire con il neo-portiere neroverde Consigli costretto a recuperare il pallone meneghino in fondo al sacco per una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette volte: Icardi, Kovacic, Icardi, Osvaldo, Icardi, Osvaldo, Guarin. Inter 7, Sassuolo 0.
Mi sfrego le mani e m’incammino verso la libreria, non che sia diventato di colpo interista, ma ho pronosticato la squadra di Mazzarri come terza forza del campionato e se le cose proseguiranno di questo passo, con questo assetto tattico ci sono buone probabilità che io possa vantarmi a fine anno con gli amici del bar, come in altre numerose circostanze. E poi grazie al giornalista ho evitato almeno due delle otto ore di cassa 7. Ritorno in libreria e dopo molti scontrini battuti il suo sorriso è meno serafico, le sue bretelle meno elastiche, il suo volto oscuro. Chiudiamo insieme le saracinesche e la messa è finita, andiamo in pace.

martedì 2 settembre 2014

A passeggio con il campionato (1)



Milano – Esco di casa al calar della sera dell’ultimo giorno del calciomercato estivo e becco il figlio del mio amico fruttivendolo milanista che sta dando fuoco a un cassonetto della spazzatura.
“Hey, cosa fai?”
“E’ per via della cessione a titolo definitivo di Bryan Cristante al Benfica, non sono d’accordo”.
“E vabbè, cosa avresti dovuto fare allora ai tempi del passaggio di Andrea Pirlo alla Juventus?”
“Questo è vero”.
Insomma riconduco il figlio del fruttivendolo a più miti azioni, spegniamo il fuoco sporco con dei secchi di acqua gelata che in questi giorni va tanto di moda, ma in altre zone della città persistono e si riproducono nuovi focolai della protesta, un gruppo di tifosi pare abbia assaltato la nuova sede storta rossonera di via Aldo Rossi, anche Casa Milan brucia e sono scontento perché non ho fatto ancora in tempo a visitare il museo, e nemmeno a incontrare per caso Barbara Berlusconi che fuma una sigaretta facendo su e giù nervosa o pensante nella grande piazza al Portello.
“Mi sembra tutto un po’ esagerato” dico passeggiando a fianco del mio amico di frutta redento “non si bruciano i cassonetti e meno che mai i libri. Pensa che durante gli inverni a Crum, le giornate erano lunghe, noiose e fredde. Durante le estati invece le giornate erano lunghe, noiose e calde. A Crum, solo la temperatura cambiava”.
Lui mi chiede:
“Cos’è Crum?”
E io:
“Una rozza città sul confine tra West Virginia e Kentucky, o meglio il romanzo scritto nel 1985 da Lee Maynard che ho comprato qualche giorno fa con circa trent’anni di ritardo, ma ne valeva la pena. E poi scusa, questo Bryan Cristante faceva la riserva a Poli e Muntari, venderlo per sei milioni di euro potrebbe anche rappresentare qualcosa di non automaticamente negativo, bisogna vedere come spendi dopo i denari che hai incassato, intanto Bryan andrà a vivere e a giocare a Lisbona beato lui, potessi farlo io che viceversa concludo qui il mio breve sogno portoghese e la mia discutibile dissertazione sul calciomercato e sulla città di Crum dove i passatempi preferiti dei ragazzi sono fare a botte, bestemmiare, andare a caccia e talvolta rimorchiare una ragazza. Ma non bruciare cassonetti. Del resto la popolazione di Crum, West Virginia, vanta 219 esseri umani, due subumani, un paio di pattuglie di cani di vario tipo, almeno un gatto, un mulo ritardato e il mito sempre vivo di Crash Corrigan”.
La classifica della Serie A dopo la prima giornata invece parla chiaro e dice Milan, Roma, Udinese, Napoli, Cesena, Juventus 3 punti. Cagliari, Palermo, Sampdoria, Sassuolo, Atalanta, Hellas Verona, Inter, Torino 1 punto. Genoa, Chievo Verona, Parma, Lazio, Empoli, Fiorentina 0 punti. Sarà bene ricordarla quando tra quindici giorni riprenderà il campionato, superata la sempre fastidiosa prima pausa dedicata alla Nazionale, questa volta leggermente più interessante per la presenza del nuovo Commissario tecnico sulla panchina azzurra.

giovedì 28 agosto 2014

A passeggio con il campionato (0)


Milano - Allora le cose stanno così, il mattino successivo alla prima notte trascorsa in pianura dopo tre settimane in montagna ho pensato che sono troppe tre settimane in montagna, specie se su venti giorni sedici sono di nuvole o pioggia. Può capitare. Se non fosse stato per Jim Thompson mi sarei potuto anche annoiare, voi direte chi è Jim Thompson, un adorabile disperato scoperto grazie a Marco Peano per quanto mi riguarda, voi direte chi è Marco Peano. Un uomo da niente e Pop. 1280, quest’ultimo recentemente ristampato da Einaudi purtroppo con il titolo Colpo di spugna, scelto dal regista Bertrand Tavernier nel 1981 per la trasposizione cinematografica. Ho passato l’agosto insomma con Clinton Brown (giornalista del Courier di Pacific City autore della nota rubrica A passeggio con Clinton Brown) e con Nick Corey (sceriffo della contea di Potts, angolo del Texas dimenticato da Dio, 1280 anime in tutto compresi i neri). E sono uno scrittore talmente originale e metodico che in previsione di un’eventuale rubrica forse settimanale su Quasi Rete ho pensato ecco cosa potrei fare, scrivere A passeggio con il campionato, almeno per dare una giustificazione razionale alla mia coscienza quando mi chiede perché passo così tanto tempo intorno al pallone. Perché è bello, direbbe mio figlio Pietro che ieri uscendo palla al piede dalla cucina ha esclamato con fare convinto:
“Ecco Arturo Vidal che esce dalla cucina!”
Sono soddisfazioni spazio-temporali non frutto del caso, da venti minuti giochiamo a calcio in corridoio gridando:
"Io sono Vidal!"
"Io sono Tevez!"
ma soprattutto:
"Io sono Marchisio!"
che a sorpresa per Pietro diventa:
"Io sono Mirtillo!"
Nella speranza che Arturo Vidal Pietro non fosse diretto dalla cucina verso Manchester. O forse sì. Poi lunedì mi sono ricordato che Julio Cortazar martedì avrebbe compiuto cento anni. Al lavoro in libreria è arrivata una signora che mi ha chiesto se esistevano biglietti d’auguri per persone che fanno cento anni. Le ho detto Ah, come Julio Cortazar! Ma lei non ha risposto niente e anzi mi ha guardato male. Suo padre non era Julio Cortazar. Non abbiamo comunque biglietti d’auguri specifici per chi compie cento anni. Giovedì però l’editore Fazi ricorderà l’anniversario dell’autore argentino con una pubblicazione inedita in Italia: A passeggio con John Keats. Mi sono sfregato le mani e ho pensato mannaggia, sono davvero uno scrittore originale, A passeggio con il campionato
E se lo scudetto lo vincesse la Roma? Seguita nel pronostico da Juventus, Inter, Napoli, Fiorentina, Milan e Lazio. A meno che alla squadra di Allegri (per chi avesse perso qualche puntata, Massimiliano Allegri adesso allena la Juventus) non si aggiunga sul serio il colombiano Radamel Falcao, detto El Tigre, che da solo potrebbe spostare gli equilibri, come amano affermare certi navigati giornalisti sportivi. Ma è molto difficile, lo ripete da trenta giorni la maggioranza dei quotidiani. Molto difficile, ma non impossibile, e tutti sembrano aspettare la fine del calciomercato per poi dire era evidente che fosse impossibile, non molto difficile. Due ottimi romanzi comunque quelli di Jim Thompson, Un uomo da niente e Pop. 1280, i migliori che ho letto in questa estate del 1954, e del 1964.

mercoledì 20 agosto 2014

Maracanazo, 13 racconti

I tredici racconti mondiali che ho scritto per Quasi Rete, blog letterario della Gazzetta dello Sport, da oggi disponibili in un solo clic.

venerdì 15 agosto 2014

Conte, Italia. Una corrispondenza austro-sportiva


Obereggen - Insomma tocca ancora una volta alla Juventus risolvere i problemi della Nazionale. Comporta responsabilità, il destino di essere privilegiati. Pensavo a questo passeggiando e ridendo per Nova Levante, di solito preferisco Nova Ponente, ma quando sei al quinto giorno di pioggia in montagna si è portati a soluzione alternative, tradire il ponente per il levante, qui la popolazione sportiva si distingue tra simpatizzanti del Bayern Monaco e/o della Germania Ovest, con qualche rara spruzzata di Schalke 04, mi sono sempre chiesto come mai nessuno parteggi per l'Austria Vienna e/o l'Austria in generale, con qualche spruzzata di Rapid Vienna. Io invece solidarizzo con il Borussia Dortmund ma senza esagerare, ogni anno perdiamo il giocatore migliore ma restiamo competitivi, in Inghilterra invece sono dell'Arsenal, in Spagna del Barcellona, in Francia del Marsiglia, in Argentina del Boca. Lo fate mai questo gioco? In ogni il calcio italiano qui in Sudtirol è un riflesso, mi sento un fortunato corrispondente all'estero che osserva con sconfortato stupore l'elezione di Carlo Tavecchio a presidente della FIGC. Vince il settantunenne candidato-banana di Galliani, Lotito, Preziosi, De Laurentis. Della maggioranza. Mi sa che io, anche in una società migliore di questa, mi troverò sempre d'accordo con una minoranza. Tavecchio si mette immediatamente in contatto con il migliore allenatore italiano in circolazione per proporgli la panchina della Nazionale, all'improvviso Antonio Conte diventa il preferito di quasi tutti i giornalisti, di quasi tutti i tifosi (certo qualche caso clinico resiste). Separato dalla Juventus le sue innegabili qualità vengono apprezzate con distacco, certe forme d'odio tipicamente anti-juventine (così stucchevoli, così prevedibili) del tifoso medio italiano di colpo scompaiono. Sarà che è la vigilia di Ferragosto, sono tutti più buoni, ma si pensa all'interesse generale, scegliere il più bravo per ricostruire un movimento non così a pezzi come sembra, basta un pallone che entra in rete invece di prendere il palo per far cambiare valutazione e giudizi a milioni di persone. Domani (oggi per chi legge) partiranno i coccodrilli elogiativi del mister salentino, ma non è morto Antonio, probabilmente anche Pinci & Mensurati su Repubblica eviteranno di estrarre dal cilindro il famoso computer portatile sequestrato a Conte due anni fa che, una volta aperto, "avrebbe potuto svelare alcuni segreti del calcioscommesse". Quale computer? Quali scommesse? Tutto dimenticato. Beppe Severgnini magari ci regalerà un corsivo dei suoi, arrogante nella sua banalità, con o senza interismi. Che sollievo sostare in Alto Adige, la sconfitta del Bayern Monaco in Supercup per colpa dell'Uomo Ragno Aubameyamg che fino a qualche anno fa si arrampicava giovane e ignorato sulle pareti di Milanello è stata assorbita senza particolari patemi, ha vinto ancora Jurgen Klopp, comunque nazioni più civili hanno già cominciato a giocare campionati o coppe, non si lascia un popolo senza calcio che conta fino al 31 agosto, penso passeggiando per Nova Levante, di solito preferisco Nova Ponente. Conte farà bene perché è bravo, perché ha vinto tre scudetti consecutivi il primo senza perdere mai il terzo totalizzando 102 punti. Del resto il girone di qualificazione agli Europei l'avrebbe passato anche Zaccheroni, vedremo alla fase finale, un caro saluto a tutti da Obereggen.

lunedì 28 luglio 2014

Futura Festival


Amici marchigiani, amici del centro Italia. Domani sarò a Civitanova Marche in compagnia di Antonio GurradoPaolo Di PaoloGiancarlo Liviano D'Arcangelo, Maurizio Compagnoni per parlare del futuro della letteratura, dopo i Mondiali. Sarà presente anche un campione del calcio italiano (che non sono io). Futura Festival, piazza della Libertà, ore 23.

lunedì 21 luglio 2014

Una recensione bellissima

Capita di ricevere recensioni bellissime, come questa di Gianvittorio Randaccio per Quasi Rete, blog letterario della Gazzetta dello Sport. Ti fanno quasi pensare che valga la pena scrivere. 



di Gianvittorio Randaccio
Se uno legge Il Fuorigioco sta antipatico ai bambini, a un certo punto, a pagina 114, succede che Francesco Savio, ormai alla fine di quello che che lui chiama un romanzo e invece non è un romanzo, ma undici romanzi brevissimi che dovrebbero avere a che fare con i mondiali di calcio e la letteraratura, e invece cambiano direzione continuamente e col calcio e la letteratura si bagnano un pochino e poi tornano fuori dall’acqua, si mette a raccontare di lui e di Pietro, suo figlio, e del fatto che lui, Francesco, vuole portare Pietro al cimitero, che per lui, Francesco, è un posto triste, mentre per il figlio, Pietro, no, anzi, è un posto come un altro dove passeggiare o correre senza avere niente a cui pensare, se non passeggiare o correre, per l’appunto. A questo punto di pagina 114 succede anche, ma questo Francesco Savio non può saperlo, che a me sgangherato lettore questa cosa del cimitero e dei bambini fa venire come un groppo in gola pieno di emozione e mi fa pensare a una scena simile vissuta da me con una bambina di tre anni che, entrando al cimitero maggiore di Milano, si guarda intorno stupefatta dicendo che questo parco è veramente grandissimo, entusiasta della contemporanea presenza di addirittura due ruspe gialle, purtroppo ferme, visto che è domenica. E questa cosa di pagina 114, che magari agli altri lettori del Fuorigioco sta antipatico ai bambini non dice niente, per me si trasforma nella rivelazione del senso di questo libro, nel quale i mondiali sono una scusa per proseguire un discorso cominciato con Mio padre era bellissimo e proseguito con Il silenzio della felicità, e anzi forse nel senso stesso della scrittura di Francesco Savio, che spesso trova il modo di farti vedere delle cose all’improvviso, come se svoltassi di colpo in una strada nuova e bellissima, costringendoti ad alzare gli occhi dalla pagina per cercare di guardare un po’ più in là, appena dopo quella svolta, alla ricerca di spazio, per permettere a tutti questi groppi di emozione di trovare dello spazio per stendersi un po’, che se no si accartocciano su se stessi e rischiano di scoppiare. E, per finire, questa benedetta pagina 114 ti fa pensare che tutto questo giro di tue emozioni così personali ha sicuramente a che fare con un cimitero, una bambina di tre anni e due ruspe gialle, ma anche con qualcosa di più profondo, misterioso e insondabile, che è la capacità di Francesco Savio di aggrapparsi con leggerezza alle cose che non si possono spiegare, lasciandoti la netta sensazione che, alla fine, spiegarle non serve a niente, basta raccontarle.

lunedì 14 luglio 2014

Maracanazo. Germania-Argentina: Nastassja Kinski e Johann Wolfgang Goetze.


Milano - Ricordo che ero molto giovane e guardavo i film di Wim Wenders chiuso in camera da solo, astioso nei confronti di chiunque avesse l’idea di disturbarmi, mia madre un amico una corteggiatrice il telefono fisso, non possedevo ancora il cellulare. Falso movimento in particolare, il ragazzo biondo che procede lungo una stradina di campagna così almeno mi pare, alla ricerca della sua vocazione artistica, pellicola sceneggiata da Peter Handke liberamente tratta dal romanzo Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister di Johann Wolfgang von Goethe, avevo scritto anche una poesia intitolandola con influenze germaniche appunto Falsche Bewegung. Certe ragazze innamorate suonavano il campanello, io rispondevo al citofono:
“Ma per favore, sto guardando i film di Wim Wenders chiuso in camera da solo, passa più tardi o meglio non farti più vedere.”
Loro non se ne facevano una ragione e insistevano a suonare con il dito appiccicato al pulsante. Del resto in quel tempo m’innamoravo di tutto, m’innamorava di altre, di Nastassja Kinski incontrata sul treno con la frangia quasi fino dentro agli occhi, leggeva un libro con il ragazzo biondo la figlia dell’attore Klaus, non vorrei sbagliarmi ma si trattava della Vita di un perdigiorno di  Joseph Freiherr von Eichendorff, anche tra i miei romanzi preferiti di allora, e non poteva certo trattarsi di un caso Nastassja.
Invece troppi anni dopo, una sera di metà luglio Germania contro Argentina per diventare campioni del mondo in diretta da Rio de Janeiro, Wim Wenders aveva imboccato da tempo la strada del declino creativo ma buon per lui viveva di rendita tra Berlino e New York mentre io faticavo ad arrivare alla fine del mese, inquadravano le tribune e l’infantile bellezza della Kinski era stata sostituita dalla sgradevole e sgraziata Angela Merkel in giacchetta rossa con le braccia corte, peccato, poi in campo la finale non era scontata come la maggioranza dei pronostici aveva cercato di prevedere. Anzi Gonzalo Higuain al ventunesimo, a causa dell’imprevisto e maldestro assist di testa dell’avversario Kroos, si trovava al limite dell’area solo davanti a Neuer, ma calciava in modo ignobile schiacciando il tiro d’interno destro con il pallone che rantolava qualche metro distante dal palo. Dieci minuti dopo, ancora l’attaccante del Napoli mostrava le stigmate dell’uomo non scelto dal destino, esultando incontenibile per qualche secondo in seguito a una rete realizzata tuttavia in fuorigioco. I tedeschi reagivano e concludevo la prima frazione con un paio di chance, la più clamorosa un palo colpito di testa da Howedes sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Leo Messi intanto si metteva a vomitare, probabilmente stufo dei noiosi commenti di chi non perdeva azione o movimento per confrontarlo con Maradona, si andava al riposo e al risbucare delle squadre in campo il tranquillo ma sofferente Sabella sostituiva Lavezzi con il baricentro basso Aguero. Messi sfiorava il goal con un bel diagonale, Neuer cercava di decapitare Higuain con un’uscita kamikaze non venendo sanzionato, si andava ai supplementari e Schurrle aveva un’occasione, Palacio quella della vita ma stoppava male un pallone proveniente dalla sinistra per poi stortare un tentativo di pallonetto. Calci di rigore? No, perché a sette dalla fine il paffutello Mario Goetze, entrato da un quarto d’ora al posto del buon vecchio Miro Klose, seguiva un’accelerazione del butterato Schurrle sulla fascia facendosi trovare puntuale allo spiovente che giungeva all’altezza del vertice dell’area di porta. Johann Wolfgang Goetze stoppava geometricamente il pallone sul morbido petto prima di direzionarlo in girata al volo nell’angolo opposto, con una linea collinare letale per tutta la nazione argentina. La Germania era campione del mondo per la quarta volta nella sua storia e mentre i commentatori impiegati nostrani si affrettavano a giudicare, sentenziare, banalizzare, Leo Messi guardava il vuoto, non vomitava solo per educazione, vinceva il premio come miglior giocatore del Mondiale brasiliano, posava assente per le fotografie, aspettava i compagni distrutti per indossare senza voglia la medaglia d’argento, si faceva abbracciare dal picchiato e sanguinante sotto l’occhio Schweinsteiger. Io spegnevo il televisore con leggero rammarico, altri quattro anni erano passati e ne avrei dovuti attendere altri quattro, era la mezzanotte italiana del tredici luglio duemilaquattordici, Nastassja Kinski non avrebbe suonato alla mia porta. 

Johann Wolfgang Goetze


mercoledì 9 luglio 2014

Maracanazo: Brasile-Germania. Il muratore jugoslavo e il Cacao Meravigliao


Milano – Al bar del mattino un muratore jugoslavo batteva il pugno sopra il bancone e imprecava per un lavoro che aveva già fatto e gli toccava adesso rifare, non per colpa sua ma a causa di un cliente o del capo stronzo o di un altro muratore che aveva messo le mani dove non avrebbe dovuto e adesso insomma gli toccava rifarla da capo, la parete, porca puttana quanto tempo perso e il tempo erano soldi. Poi aveva da finire quell’altro lavoro in quell’altra casa, e ci sarebbe pure stato da trattare sul prezzo come al solito perché quando c’era da pagare diventavano tutti uguali, lo jugoslavo azzannava la briosche e tirava una Madonna prima di immergerla nel cappuccio. Io approfittavo del mio, di cappuccio, per poi entrare nell’ex-libreria come ex-libraio, adesso cassiere in virtù di un’indubitabile meritocrazia, quanti nuovi romanzi orrendi mi spiavano dagli scaffali, la folla italiana in lacrime per la scomparsa dello scrittore famoso un tempo comico, era una lotta tra lui e il Premio Strega Francesco Piccolo, per una volta non c’erano dubbi meglio il Premio Strega anche se Il desiderio di essere come tutti io avevo smesso di leggerlo dopo cento pagine, senza una precisa ragione o forse sì. Avanzavano scontrini e mattinata e le condizioni per l’isteria collettiva c’erano tutte, del resto pioveva, in Brasile un’infermiera era stata licenziata per aver filmato con il telefonino Neymar trasportato in barella dentro l’ospedale, la notizia campeggiava su tutti i giornali insieme al Papa che scomunicava i camorristi che allora non andavano più a messa e al commento all’accaduto dell’autore milionario specializzato in anti-camorra. Le condizioni per l’isteria collettiva c’erano tutte: il muratore jugoslavo, l’infermiera impiccata negli scantinati dell’ospedale per aver filmato sorridente il Dio del pallone, altro che Maracanazo, i giocatori del Brasile durante l’inno nazionale sembravano donne sull’orlo in un film qualsiasi di Pedro Almodovar, la Germania entrava sul terreno di gioco dello stadio Mineirao indossando a sorpresa e con genialità la maglia del Flamengo al posto dell’abituale casacca bianca e questa mossa sparigliava gli equilibri, in ventinove minuti i tedeschi ne facevano cinque con Mueller, Klose, Kroos due volte e Sami Khedira, migliore in campo. Cacao, meravigliao. L’Onu decideva d’intervenire solamente tra il primo e il secondo tempo e al risveglio, di fronte alla popolazione verdeoro attonita, Scolari sostituiva la macchietta verde Hulk con Ramires e Fernandinho con Paulinho. La risultante era un Brasile all’arrembaggio nei primi minuti che tuttavia sbatteva contro il consueto, insuperabile Neuer. Qualche giocatore del Brasile cominciava a tuffarsi in area di rigore alla ricerca del disperato goal della bandiera, con attaccanti come Fred e Bernard (un Giovinco meno decisivo) in effetti non si poteva certo sperare di segnare su azione. Verso la mezzanotte italiana pareva evidente che la Seleção non avrebbe mai gonfiato la rete e che anzi sarebbe toccato nuovamente ai tedeschi arrotondare con una  doppietta dello spettinato Schürrle, ma all’ultimo minuto disponibile invece il magrolino Oscar riusciva a compiere il prodigio trafiggendo sul primo palo un arrabbiato Neuer e fissando un risultato che nessuno avrebbe pronosticato alla vigilia: Brasile 1, Germania 7. Al triplice fischio le lamentele del pubblico brasiliano non erano neppure esagerate considerata la situazione, prevaleva lo sconcerto, Thiago Silva con il cappellino bianco di Neymar raggiungeva il campo per consolare i compagni e in particolare proprio il giovane Oscar, mentre i tedeschi salutavano i pochi sostenitori saltellando ubriachi e festosi verso la finale del Maracanã. Argentina oppure Olanda? Domani sera tutti ne avremmo saputo di più.