mercoledì 10 dicembre 2014
Il fuorigioco sta antipatico ai bambini sul Guerin Sportivo
Attenzione: Il fuorigioco sta antipatico ai bambini sul Guerin Sportivo in edicola oggi. Recensione di Christian Giordano.
giovedì 4 dicembre 2014
A passeggio con il campionato (13)
Milano – Provo una strana allegria a lavorare in libreria, talvolta
qualcosa di mistico o per lo meno accettabile, dicevo a Teresa d’Avila alla
fine dell’ordine alfabetico del settore Religione,
perché i santi come avrete intuito non li mettiamo tutti alla lettera “S”,
altrimenti sai che casino con Francesco e gli altri. A dire il vero Teresa ero
allegro a intermittenza anche quando facevo i materassi, quando vendevo
lavatrici o lavastoviglie, frigoriferi meno perché alla fine cosa vuoi dire dei
frigoriferi, dopo un minuto avevo già terminato tutto quello che dovevo
raccontare, no con i frigoriferi non provavo allegria, qualche cliente con
problemi di comprensione o magari chissà superiore solidarietà dialettica affermava:
“Allora questo è il congelatore. Ma due stelle o quattro stelle?”
Io rispondevo numericamente e la faccenda si chiudeva lì, refrigerati.
In libreria invece ero con Santa Teresa, verso la fine dell’alfabetico
di Religione anche se adesso mi viene
in mente che la “T” non è poi così distante dalla “S”, aveva ragione Emil
Cioran quando scriveva dello stile narrativo che nei mistici, e in particolare
in Teresa d’Avila, raggiungeva vette sorprendenti per scrittori non
professionisti? No del tutto, a mio avviso, troppe ripetizioni, l’ossessivo e
servile ringraziamento a Dio o Gesù scritto ogni poche righe, il richiamo ai
presunti grandi peccati e alla spregevole vita, cosa mai aveva combinato Teresa
pensavo consegnando all’interessato il libro richiesto che niente aveva a che
fare con misticismo o santità, cosa mai poteva aver combinato la non ancora
beata appena bambina per ritenersi così cattiva, prima della mia fine avrei
dovuta leggerla questa Vita che a
vent’anni non avevo studiato nemmeno nel periodo in cui mi occupavo con
riservatezza convinta di Thomas Merton, arrivavo in bicicletta fino alla prima
collina intorno alla città per guardare oltre le sbarre un monastero vero. Ma
ora riponevo il volume Castelvecchi
nello scaffale in basso ormai sapete dove, alla “T” dell’ordine alfabetico nel
settore Religione, ci sarebbe stato
tempo probabilmente per leggerti Teresa, l’allegria saltuaria del libraio
corrispondeva alla medesima del venditore di lavatrici o lavastoviglie su
questo non c’era dubbio, raffigurata sommariamente dal brillare occasionale e
simile di elettrodomestici o pagine e copertine.
Quindi ho lavorato al mattino, passeggiato tanto e pensato poco nei
pomeriggi, imbavagliato dalla non voglia di scrivere per manifesta inutilità
personale e collettiva di fronte a un fatto tragico, luttuoso e infame. Non ho
fatto caso alla pioggia sistematica nemica di ogni solitario camminatore, certo
avevo l’ombrello, ma chi aveva parlato di tiro dell’Ave Maria descrivendo il calcio
disperato all’ultimo secondo di Gesù Pirlo, capace di regalare ai bianconeri
la vittoria nel derby della Mole, quando il pareggio in effetti pareva ai più
la soluzione maggiormente idonea? Non riuscivo davvero a ricordarlo, il telecronista
certo no e allora mi sa che me l’ero immaginato io tutto da solo, per colpa di
Santa Teresa.
martedì 25 novembre 2014
A passeggio con il campionato (12)
Milano – Un derby così brutto (pieno di ripetuti rimpalli, grossolani
errori tecnici) che mi era venuto il cafard
e avevo pensato a Emil Cioran raggiunto nel 1937 dalla telefonata dell’editore
che aveva deciso di non pubblicare Lacrime
e santi.
“Ho fatto la mia fortuna con l’aiuto di Dio, non posso pubblicare il
suo libro.”
“Ma è un libro profondamente religioso.”
“Sarà, comunque non ne voglio sapere.”
“Io devo lasciare il paese, devo andare a Parigi per un mese, non
posso partire in queste condizioni.”
“Non ne dubito, ma il suo libro non lo voglio.”
Così Cioran era andato in un caffè di Braşov
disperato, piuttosto affezionato a Lacrime
e santi perché frutto di una profonda e insonne crisi religiosa si chiedeva
cosa poter fare, nel caffè aveva incontrato un uomo che conosceva poco il quale
vedendolo particolarmente abbattuto gli aveva chiesto il motivo di tanta
tristezza. Ascoltato il lamento dello scrittore, l’uomo aveva concluso:
“Guardi, di professione io faccio il tipografo, anzi lo stampatore. Il
suo libro lo pubblico io.”
Allora Cioran aveva lasciato la Romania maggiormente sollevato, Lacrime e santi era uscito in sua
assenza e aveva avuto una pessima accoglienza, i suoi genitori si erano trovati
in una situazione molto delicata. Sua madre gli aveva scritto a Parigi:
“Io capisco il tuo libro e tutto quanto, ma non avresti dovuto
pubblicarlo prima della nostra morte, hai messo in difficoltà tuo padre che è
un prete e io che sono presidente delle donne ortodosse, in città sono derisa.”
Eppure, essendo stato pubblicato senza editore e non avendo distribuzione,
probabilmente la maggioranza delle copie era andata distrutta. Una cosa
tipicamente balcanica.
Quindi sono tornato all’agghiacciante derby di Milano, ma il cafard non era per niente passato. Dopo
il bel gol d’interno al volo di Jeremy Menez e il tiro strozzato dal limite
angolato di Obi le due squadre cercavano impotenti di fabbricare sul campo
qualcosa di simile al concetto di azione, con i soli risultati apprezzabili di
un clamoroso errore sotto porta di Stephan El Shaarawy che riusciva, solo
davanti al portiere, a scheggiare la parte alta della traversa, e di un
incrocio dei pali inventato da Mauro Icardi con una intelligente, rallentata
girata di destro su cross dalla destra. Milan-Inter terminava uno a uno,
nonostante il nervoso e mistico tentativo al novantesimo di Pippo Inzaghi di
spingere con il piede dall’area tecnica della panchina il pallone in rete,
nella santa speranza che a cinquanta metri di distanza il noioso e poco utile
Poli percepisse telepaticamente il corretto movimento da eseguire per centrare
la porta. Impossibile, fuori. Alla sua prima, seconda volta da nuovo allenatore
dell’Inter Roberto Mancini guadagnava neutro il tunnel degli spogliatoi in
cappotto scuro, sciarpa annodata e pantaloni chiari. Il simpatico difensore del
Milan Adil Rami dichiarava invece con onestà nelle interviste del dopo partita
che lui le partite non le sapeva analizzare perché prima di giocare a calcio
faceva il meccanico, e quando in Francia gli avevano comunicato che avrebbe
fatto il calciatore non ci aveva creduto. Al giudizio finale, verranno pesate
soltanto le lacrime.
martedì 11 novembre 2014
A passeggio con il campionato (11)
Milano – Sarà capitato anche a voi di svegliarvi nella notte per
controllare quanti libri di Beppe Fenoglio avete in libreria. A me è capitato
domenica scorsa e non è la prima volta, certo non sempre per Beppe Fenoglio
altrimenti sarei un imbecille o almeno un individuo dotato di poca memoria.
Comunque ho aperto gli occhi erano le quattro e trentacinque, guardando il buio
soffitto della camera da letto mi sono chiesto:
“Ma io quali romanzi ho letto di Beppe Fenoglio?”
mi sono alzato e ho spiato mia moglie e mio figlio dormienti, era il
caso di svegliarli? Quanti libri avevano letto loro di Beppe Fenoglio? In
soggiorno ho calpestato con lentezza il legno del vecchio parquet per non dare
fastidio a nessuno, ma scricchiolava lo stesso, ho acceso la luce e illuminato I ventitré giorni della città di Alba, La malora, Primavera di bellezza, Il partigiano Johnny, Una questione privata, Diciotto racconti e un pregevole volume
biografico per immagini a cura di Franco Vaccaneo, acquistato nel 2001, che
avevo quasi scordato di possedere. Le opere, i giorni, i luoghi. Uno di quei volumi
che fino a qualche anno fa si potevano trovare in quantità nelle librerie
remainders anche in centro a Milano, prima che il caro affitti, l’esasperato
sviluppo tecnologico e la sconfortante idiozia di un popolo non lettore
portasse molti di quei sacri luoghi alla chiusura. Ho passato un’ora a
sfogliarlo e a rileggerlo, prima di abbandonare l’insonnia partigiana per
guadagnare almeno due ore di sonno in funzione della veglia lavorativa. Di ritorno
dal turno non era cambiato molto a casa Savio a parte gli altri componenti
della famiglia questa volta in piedi ad aspettarmi. Ho girato la chiave nella
serratura e ancora prima di terminare la prima rotazione ho sentito con
chiarezza quella voce conosciuta a un discreto volume:
“Papino! Papino!”
e poi, un passo dentro l’abitazione:
“Giochiamo alle macchinine?”
Ho riposto va bene Pietro, mangio qualcosa e arrivo.
“Ma poi giochiamo alle macchinine?”
“Sicuro.”
“Dai giochiamo alle macchinine?”
“Si può fare, ma perché invece non giochiamo un po’ a Beppe Fenoglio?”
“Cosa?”
“A Beppe Fenoglio.”
“Alle macchinine.”
“A Beppe Fenoglio.”
“Alle macchinine.”
Dopo pranzo, abbiamo giocato alle macchinine. Beppe Fenoglio faceva
l’impiegato in un’azienda vinicola. Per via delle lingue che conosceva gli
avevano affidato l’esportazione. Compilava lettere di accompagnamento per
partite di Vermut e spumanti, lavoro abbastanza noioso tutto sommato ma così
poco impegnativo che, eludendo la sorveglianza dei principali, gli consentiva
di mandare avanti anche quello di scrittore. Tra una pratica e l’altra infatti,
e usando per precauzione la stessa carta intestata della ditta, scriveva interi
capitoli dei suoi libri che a casa riscriveva e rifiniva.
Poi dopo i parcheggi, gli incidenti e i capovolgimenti di automobili
verdi, rosse, blu, gialle e grigie Pietro mi ha chiesto:
“Papà, ma la Uve quanto ha fatto?”
e io:
“Pensa, ha vinto sette a zero.”
“Ah.”
lunedì 3 novembre 2014
A passeggio con il campionato (10)
Gussago – Esistono ancora, sia
pure in forte minoranza, italiani intelligenti, scriveva Guido Ceronetti a
proposito del loro rapporto attuale e antico coi crisantemi in particolare
quando si avvicina la giornata istituzionale consacrata alla memoria dei
defunti. Lo leggevo dopo aver mangiato in Franciacorta, Guido Ceronetti, spezzatino
e polenta, un bicchiere di vino rosso, ma ancora sufficientemente lucido per apprezzare
l’articolo e consolarmi in merito all’acquisto del quotidiano che al mattino
avevo pensato di prendere in edicola, ero in vena di follie dopo essermi
svegliato presto di fronte a un sabato di non lavoro. Me n’ero pentito quasi
subito di aver pensato al giornale come momento di lettura, ne avevo di libri
in attesa dentro lo zaino o sulla scrivania, ma poi avevo letto dei crisantemi,
degli italiani, l’euro e quaranta non era stato buttato totalmente nel tombino,
passeggiando in paese una ragazza bionda in mutande cantava qualcosa dentro uno
schermo televisivo sbucato dalla vetrina di un bar, le sue movenze erano
comiche per convinzione e interpretazione, per capire qualcosa di più ero entrato
e avevo ordinato un caffè, la ragazza bionda sotto le mutande nere vestiva solo
con delle calze sempre nere che le arrivavano oltre la metà superiore delle
cosce, non era certamente il mio tipo, si appoggiava allo stipite di una portafinestra
e in sofferenza recitata annunciava che amava sbagliare, amava farsi del mare,
ogni pezzo di pelle…
Un’altra canzone imbarazzante pronta a scalare le vette delle
classifiche, non esistevano italiani intelligenti, un pomeriggio di vent’anni
fa ero uscito di casa per comprare il cd dei Nirvana – Unplugged in New York, un pomeriggio di vent’anni fa il 1 novembre del 1994,
ricordavo alla ragazza in mutande che adesso si lasciava cadere all’indietro
sulla parete azzurra usando come freno il sedere, sentiva il peso l’aria,
voleva che qualcuno non la facesse respirare, pregava che qualcuno la lasciasse
fare, ogni amore sbagliato aveva il suo costo, quel che era stato lei lo teneva
nascosto…
Roba da matti, che capolavoro l’Unplugged in New York, Kurt Cobain si
era presentato alla registrazione in astinenza cercando di spiegare che aveva
bisogno di “pollo fritto”, ma nessuna farmacia aveva il Valium e aveva dovuto
far da solo organizzando una “consegna” in uno dei rari momenti in cui non
vomitava, aveva paura di non reggere e di andare nel panico, temeva che il
pubblico non l’applaudisse. Fuori dal bar un sindacalista mostruoso gridava che
bisognava finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei
singoli, di chi abusava di alcol e droghe, di chi viveva al limite della
legalità, di chi disprezzava la propria salute, di chi viveva una vita
dissoluta. Ne avevo abbastanza e pensavo a Tom Kromer preso a bastonate dalla
polizia perché vagabondo nell’America della Grande Depressione, picchiato il
necessario per scrivere un romanzo Tom, l’unico della sua vita, dedicato a
Jolene che quella volta aveva chiuso il gas. Sono tornato a casa e il Napoli
vinceva due a zero sulla Roma, Higuain e Callejon, Waiting for Nothing tradotto con Un pasto caldo e un buco per la notte era tra i volumi che mi
aspettavano impilati sulla scrivania, abbandonato da una paio di settimane a
pagina cinquanta annegato fra altri libri che non ho tempo di finire. L’ho
incartato in una busta regalo, sono uscito di nuovo in strada alla ricerca di
una buca per le lettere a Gussago e l’ho spedito senza crisantemo alla memoria
di Stefano Cucchi.
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giovedì 30 ottobre 2014
A passeggio con il campionato (9)
Brescia – Così mio padre è morto e io sono andato allo stadio, poi dicono perché ami tanto il calcio. Ma era gennaio e Michel Platini giocava contro il Brescia al Rigamonti, ormai senza papà al macellaio del quartiere era venuto in mente di portarmi perché lui aveva l’abbonamento in tribuna, grazie Luigi, era così pieno che con altri bambini stavamo accosciati in prima fila spiando nei rettangoli lunghi grigi creati dalle inferriate, tanto nessuno dei trentamila vedeva niente anche se qualcuno sosteneva di aver visto qualcosa, era una giornata infame, nevicava da giorni e nemmeno la domenica aveva smesso quindi il campo era completamente bianco, il pallone arancio, il Brescia azzurro con la consueta V bianca, la Juventus a strisce bianconere. Ci facevano anche male le ginocchia a forza di restare piegati, non vedevo Platini e dopo che era morto mio padre questa ulteriore mancanza di visione mi sembrava davvero eccessiva e sintomo di accanimento, ma non si trattava di una faccenda personale, anche il macellaio in automobile lontano da occhi indiscreti sulla strada del ritorno mi avrebbe confessato di non aver visto nulla, che la partita era finita 0-0 nonostante una traversa di Laudrup, un palo di Serena, una grande occasione per Branco e un goal annullato a Brio dall’arbitro Agnolin.
Quindi trent’anni dopo nel giorno dell’eventuale settantaduesimo
compleanno di Guerrino mi sono brevemente addormentato dopo pranzo da mia madre
e poi siamo andati al cimitero di San Bartolomeo, il caos per trovare
parcheggio era simile a quello di una partita perché il Giorno dei Morti si
faceva vicino e nessuno voleva fare brutta figura, abbiamo preso la scala
grande in ferro per arrivare alla tomba in alto come avevamo fatto per anni
ogni domenica mattina, Pietro a tre anni osservava con attenzione questo luogo
dove tutti innaffiavano i fiori, dove certe lastre scure di pietra sdraiate per terra sembravano
laghi, e quando mi ha chiesto:
“Che ci facciamo qui?”
Io gli ho detto siamo venuti con la nonna che deve dare da bere a
tutti questi fiori, è un posto dove la gente viene a dare da bere ai fiori, il
giorno del 1987 in cui non ho visto Michel Platini mai avrei pensato che vent’anni
dopo sarei riuscito addirittura a pubblicare un romanzo che parlava di mio
padre e di Michel Platini, a vederlo tradotto in Francia, ancora meno che avrei
ricevuto un biglietto di ringraziamento da parte di Andrea Agnelli per avergli regalato egoisticamente una copia di Mio padre era
bellissimo, tutte cose che non contano nulla eppure mi hanno fatto un enorme
piacere.
Siamo usciti dal cimitero facendo sgranocchiare i sassolini sotto le
scarpe, Pietro voleva un gelato nonostante il freddo, tornati a casa
dagli altri nonni dopo cena ho visto al computer con il segnale che saltava
ogni 5 secondi una partita orrenda, prima inutile poi sfortunata per via di due
pali colpiti. Ad un quarto d'ora dal termine il segnale è scomparso definitivamente e
sul display è comparsa la scritta Errore
404. Tanto finisce 0-0, pensavo mentre mi lavavo i denti fingendo di non
far caso al risultato, ma ho saputo in seguito che al novantaquattresimo Matri
ha colpito al volo mettendo al centro dove Antonini da pochi passi ha
appoggiato la palla in rete alle spalle del cinquecento volte bianconero
Buffon. Il Genoa ha battuto la Juventus uno a zero, Pietro mi ha detto:
“Allora che si fa prima di dormire leggiamo una storia o me ne racconti una
di quelle tue inventate?”
Io gli ho risposto una delle mie inventate, poi si è addormentato e ho
letto per dieci minuti il nuovo libro Bompiani di Michel Platini.
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martedì 28 ottobre 2014
A passeggio con il campionato (8)
Milano – C’era un vento a Milano e una luce che sarebbe piaciuta a
Meister Eckhart, dicevo a me stesso passeggiando a fatica verso il dottore con
un dito tagliato, non il dottore ma io, che la sera prima avevo infilato senza
la consueta cura un piatto nella lavastoviglie centrando un coltello seghettato
posizionato con la punta verso l’alto, di quelli ottimi per tagliare la carne o
la pizza. Spargimento di sangue, pollice sotto l’acqua fredda, rosso che se ne
va, tutto in apparenza sanato ma al mattino seguente il dito gonfio come una
noce, difficoltà a muoverlo, la decisione di recarmi dal dottore e non al
lavoro. Mercoledì pomeriggio, a Milano, come ogni volta che vado dal dottore e
penso a ripetizione la prosa migliore per spiegare il mio malessere, fortunato
il mio dottore, Meister Eckhart In agro
dominico, la bolla papale in cui venivano censurate ventisei sue
proposizioni.
Guardi un banale incidente domestico, ho detto alla fine al dottore,
ieri sera mentre infilavo un piatto nella lavastoviglie ho centrato un coltello
con il seghetto, uno di quelli ottimi per tagliare con facilità la carne e la
pizza, all’inizio sembrava solamente un taglio, questa mattina invece non
riuscivo a muoverlo, il pollice, ho pensato di venire da lei in compagnia di
Meister Eckhart. Quando ho terminato la mia esposizione spiegando
l’impossibilità, con un pollice in simili condizioni, di poter espletare
correttamente il mio lavoro di libraio, lei mi ha detto:
“Ah, lavora in libreria. Quale? Mi consiglia un bel romanzo? Cosa ne
pensa ad esempio di Tiziano Terzani?”
Io le ho risposto Feltrinelli piazza Piemonte venga a trovarmi,
qualcosa di professionale in merito al romanzo adatto ai suoi gusti, per quanto
riguarda Tiziano Terzani invece altro relativo alla fama di una persona in vita
e successivamente dopo la morte, a una certa, tipica serialità di alcune
pubblicazioni moderne, ha presente piuttosto Meister Eckhart? Pensavo a lui
camminando verso lo studio medico, per via di questo vento e di questa luce,
egli parlava dal punto di vista dell’eternità, ma spesso veniva inteso dal
punto di vista del tempo. Con un dito come una noce in ogni caso è improbabile
digitare correttamente i numeri sul display della cassa numero 7, lei mi ha
interrotto affermando:
“Non c‘è dubbio. E ho capito ciò che intende su Terzani, ma la sua
rubrica settimanale non dovrebbe trattare di calcio, del campionato?”
Sì, proprio di questo le stavo parlando, e consultando il calendario
della Serie A, avrà notato che la prossima settimana ci saranno tre partite in
sette giorni. Restando alle favorite: Juventus contro Palermo, Genoa ed Empoli.
Roma contro Sampdoria, Cesena e Napoli. Non potrà sfuggirle che totalizzando 9
punti in tre partite per la Vecchia Signora potrebbe materializzarsi la prima
fuga stagionale, seppur a circa un quarto di torneo. Ma anche con 7 punti in tre
partite per i bianconeri, escludo che i giallorossi ne possano ottenere
altrettanti considerando la forza di Sampdoria e Napoli.
Poi sono uscito dalla discussione medica, nei giorni seguenti quel
vento e quella luce a Milano non si sono più ripresentati, per studiare con
attenzione Meister Eckhart uno dovrebbe trascorrere almeno un mese in completa solitudine
altrove e potrebbe non bastare, sabato la Roma è stata fermata sullo 0-0 dalla
Sampdoria mentre domenica la Juventus ha sconfitto il Palermo per 2-0.
mercoledì 22 ottobre 2014
A passeggio con il campionato (7)
Milano – Poi è arrivato un taxi bianco è scesa Elisabetta Sgarbi bella con
gli occhiali verdi e lo smalto rosso, Sandro Veronesi fumava fuori dalla
libreria circondato dai Bompiani, io sostavo davanti alla vetrina dove stavano
esposti Daria Bignardi e Aldo Cazzullo. L’avevo fatta io quella vetrina ma al
mattino, il privilegiato mestiere di libraio comporta un certo tipo di espiazioni che vi
lascio immaginare, come tutti i mestieri mi direte e infatti mica sostengo il
contrario, precisamente alle otto e cinque avevo raggiunto il marciapiede
esterno al negozio per mimetizzarmi meglio nel buio dell’alba con due grandi
cartonati pubblicitari raffiguranti Aldo Cazzullo e Daria Bignardi, avevo
sistemato i loro volti enormi in posa televisiva pensante in modo
da disegnare uno schema geometrico rispetto alle copie dei volumi col bollino
Novità, diciamo un appena percettibile rombo. Ma adesso il turno era finito, il
pomeriggio volgeva alla sera e potevo spiare dal centro di corso Vercelli,
stando solo attento che non mi travolgesse il tram numero 16, verso sinistra in
lontananza la Madonnina del Duomo risplendere illuminata, verso destra Sandro Veronesi
fumare con un piede appoggiato allo scalino, Elisabetta Sgarbi entrare in
libreria con gli occhiali verdi e lo smalto rosso mentre Umberto Eco invece no,
che si accomodava in prima fila nel prestigioso ruolo di spettatore. Sfioravo
con le dita nella tasca della giacca leggera il volume arancio di alcune
conversazioni di Cioran, Un apolide metafisico,
quindi la presentazione di Terre rare
aveva inizio, il conduttore partiva molto alto citando la recensione del Corriere della Sera che aveva parlato di
capolavoro e di John Steinbeck, Veronesi si prendeva meno sul serio ma con
professionalità, una ragazza volgare prima mi dava una gomitata eccessiva
rispetto al numero dei partecipanti, poi sussurrava all’amica prima di
aggredire il bancone del Caffè La
Feltrinelli:
“Che sbattimento di coglioni, che sbattimento di coglioni”.
Ma non era affatto così, allora che ci stai a fare qui stupidella, anzi
Sandro Veronesi mi faceva venire voglia di comprare il suo romanzo pur avendo
pochi soldi già al 14 del mese, nel finale leggeva il brano del “martelletto
Michelin” che faceva ridere amaro con la pancia e ben rappresentava il suo
talento, andate a cercarlo nelle pagine di Terre
rare, mi veniva voglia di dargli una pacca sulla spalla, di regalargli egoisticamente
e con ammirazione una copia del mio Fuorigioco
antipatico, di chiedergli dopo tante piacevoli chiacchiere letterarie un pronostico sulle
partite del fine settimana: Roma-Chievo e Sassuolo-Juventus. Del resto anche
Bohumil Hrabal un giorno disse:
“Dell’Italia amo, soprattutto, Ungaretti e la Juventus”.
Mentre l’invisibile Thomas Pynchon al suo agente letterario italiano
chiede spesso:
“Roberto, quanto ha fatto la Juventus?”
Queste due cose me le ha dette Darwin Pastorin.
lunedì 13 ottobre 2014
martedì 7 ottobre 2014
A passeggio con il campionato (6)
Milano – Alda Merini ha smesso di scrivere per un ventennio, mi
ricordava Maria Corti nell’essenziale, fondamentale introduzione a Vuoto d’amore. Per la precisione dal 1961
al 1979, che a ben vedere sono diciotto anni, ma non mi sembrava il caso di
fare il matematico camminando verso il lavoro come quasi ogni mattina verso le
sette e quaranta. Vent’anni pensavo, da Tu
sei Pietro a La Terra Santa. Tu sei Pietro per ovvie ragioni paterne
attirava il mio interesse. Vent’anni di internamenti, di salute e di malattia, vent’anni
di silenzio. Alda Merini non ammessa da ragazzetta al Liceo Manzoni perché
respinta, in italiano!, conferma che la scuola nei riguardi degli artisti non
tradisce mai le proprie tradizioni, mi ricordava Maria Corti. Così procedevo,
l’orologio verde pubblico sempre rotto di via Veronese faceva le undici e venti
da qualche mese e talvolta lo ammetto pensavo di essere in ritardo, oggi quanti
smetterebbero di scrivere per diciotto anni, nell’attuale incombente cultura
dello spettacolo è necessario resistere alla tentazione di dilatare leggende
che fioriscono sulla follia, il disordine mentale, l’orrore quotidiano come
miti dell’immaginario, mi ricordava Maria Corti. Ma poi, entrato in un bar per
un caffè, dopo l’incrocio tra via Buonarroti e via Marghera, una radio parlava
dei tumulti scoppiati nella notte in diverse città d’Italia e in particolare a
Roma, di squadriglie non ben identificate eppure note alle forze dell’ordine
che avevano rapito e preso in ostaggio l’arbitro Gianluca Rocchi trasportandolo
dalla sua casa di Firenze al centro sportivo di Trigoria. Il decimo miglior
arbitro del mondo nel 2013 secondo l’IFFHS, organismo riconosciuto dalla FIFA
per statistiche e record riguardanti la storia del calcio, veniva quindi
liberato dai lacci che gli stringevano i polsi e dal cappuccio che gli impediva
la vista per guardare e riguardare su un maxi-schermo gli errori commessi
durante Juventus-Roma e venire giudicato di conseguenza colpevole dal tribunale
sportivo del popolo giallorosso. La pena comminata era la più feroce e di moda
del periodo: la decapitazione con video su youtube. Non si trovava tuttavia il
coltello adatto, Rudi Garcia allora ingannava il tempo suonando con la chitarra
El Porompompero, sulla superficie
dell’Italia navigavano intanto barzellette e frasi ripetute a pappagallo sulla
Juventus che rubava come sempre, il parlamentare del PD Marco Miccoli
prometteva di presentare un’interrogazione al ministro dell’Economia ed un
esposto alla Consob dopo i fatti che si erano registrati durante la partita di
domenica, ma su questo versante la minoranza non estremista pur presente nel
Paese restava tranquilla conoscendo il valore di certe promesse politiche e la
velocità media dei lavori a Montecitorio. Reperito quindi il coltello si
procedeva al taglio, ma anche vedendo e rivedendo il filmato dell’esecuzione
non si riusciva a stabilire con certezza se la testa di Gianluca Rocchi avesse
o no superato la linea bianca tracciata sul terreno di gioco dal capitano Francesco
Totti, che a suo dire da tanti anni perdeva così ma non si capiva bene cosa. La
memoria della testa tagliata scompariva, Poroppoppo-Poro-Porompompero-Pero, il risultato omologato restava
comunque Juventus 3 Roma 2 con doppietta su rigore di Carlos Tevez, gol per i
giallorossi di Totti su rigore e Iturbe, rete decisiva molto bella di Leo
Bonucci con un tiro al volo dal limite a quattro minuti dal novantesimo. Eppure
Alda Merini avrebbe faticato e non poco a trovare un editore dopo aver
ricominciato a scrivere sopravvissuta agli anni di manicomio che era stato per
lei parola assai più grande delle oscure voragini del sogno, grande cassa di
risonanza dove il delirio era diventato eco. Uscivo dal bar, superavo l’edicola
dei giornali ripieni di titoli comici e strillati relativi alla partita di
calcio, giravo a sinistra in piazza Piemonte, guardavo come sempre verso via
Washington i due grattacieli gemelli e un po’ diversi di Mario Borgato e
timbravo il cartellino.
martedì 30 settembre 2014
A passeggio con il campionato (5)
Milano – Stento a ricordarlo ma da ragazzo passavo anche mezz’ore di
fronte alla scaffale di Poesia della Feltrinelli di Brescia in via Mazzini,
adesso non andate, c’è una Mondadori, la Feltrinelli si è spostata da qualche
anno in corso Zanardelli, ma va anche sottolineato come i loghi luminosi fuori
dai rispettivi negozi non siano poi così diversi, quelli di Mondadori e
Feltrinelli, girate la Emme e troverete la Effe. Comunque stazionavo davanti
alla Poesia, Sandro Penna e Giovanni Giudici, non era sempre breve il tempo
necessario alla decisione, quindi mi giravo e andavo a pagare alla cassa, con
alcuni librai della città dove sono nato adesso ci conosciamo meglio, anche se
meno di quello che vorrei. Uscivo dalla libreria di via Mazzini, camminavo e camminavo
alla ricerca di nuove prospettive, non sapevo cosa significasse essere flâneur, Charles Baudelaire, Walter Benjamin, Robert Walser, essere un
botanico da marciapiede. Ascoltavo musica, guardavo le ragazze, mi ritrovavo a
compiere gli stessi giri perché alla fine Brescia non era così grande,
trasferito a Milano a lavorare in una libreria Feltrinelli avevo finalmente
aggiunto nuovi percorsi alle mie canzoni.
La collezione di poesia Einaudi, detta generalmente
“collana bianca”, è nata nel 1964. Per festeggiare il compleanno del mezzo
secolo cinquanta poeti italiani che hanno pubblicato nella collana offrono ai
lettori una loro poesia inedita. Sfoglio in libreria il volumetto da regalare
al cliente in caso di acquisto di due libri della collana ma passano i giorni e
non li compra nessuno, i libri della collezione di poesia Einaudi. Generalmente
in pochi acquistano un libro di poesia figuriamoci due, allora me lo porto in
cassa 50 anni di bianca e leggo:
Meraviglia dello stare bene
quando le formiche mentali
non partoriscono altre formiche
e si sta leggeri come capre sulla rupe
della gioia.
(Mariangela Gualtieri)
(Mariangela Gualtieri)
Mi sembra la migliore.
Arriva un cliente che mi dice:
“Certo che far pagare i sacchetti di carta, proprio
voi che vendete i libri di carta…”
“In che senso?”
“No dico, vendete i libri di carta però i sacchetti
di carta li fate pagare, assurdo.”
“Perché è assurdo?”
“Assurdo.”
Sparati, penso. Che ne sai tu della meraviglia dello
stare bene, quando le formiche mentali non partoriscono altre formiche e si sta
leggeri come capre sulla rupe, della gioia.
Finisco il turno lavorativo e mi metto a passeggiare
con la musica di quando ero ragazzo nella testa, sono flâneur a Milano e Caterina questa tua canzone la vorrei veder
volare sopra i tetti di Firenze per poterti consolare.
Mancavano pochi minuti al novantesimo e Mattia Destro
contro il Verona ha stoppato di petto prima di calciare dopo un rimbalzo all’improvviso quasi dal cerchio
di centrocampo. Il pallone è finito in rete disegnando una collina, con il
portiere che si è messo a correre all’indietro disperato ma è finito accartocciato.
giovedì 25 settembre 2014
A passeggio con il campionato (4)
Sestri Levante – Tirando le somme ho conosciuto tre Dino Zoff in vita
mia: lui, mio zio e le uova che mia madre metteva nel frullatore. Lui lo
conoscete tutti, se volete approfondire lo studio dell’uomo e del campione
potete leggere la biografia appena uscita per Mondadori scritta a dire il vero
in collaborazione con un giornalista che non stimo, e infatti niente di più da
un punto di vista narrativo che un susseguirsi di ricordi, ma dall’ottimo
titolo Dura solo un attimo, la gloria.
Mio zio invece non era Dino Zoff, nonostante si chiamasse Dino e avesse la
barba, non che Dino Zoff avesse la barba adesso che ci penso, ma da bambino mio
zio Dino per me era Zoff, parlava poco come lui, stava tendenzialmente in disparte durante i pranzi parentali di
Pasqua e Natale, teneva alla Juventus anche se con moderazione (ogni cosa in
lui era moderazione) per questo talvolta gli chiedevo:
“Ma zio, tu davvero non sei Dino Zoff?”
Lui diceva No con la sua voce baritonale, non sono Dino Zoff ma
solamente Dino, tuo zio. Io pensavo eppure ci assomiglia, stai a vedere che mio
zio è Zoff ma non vuole dirmelo, crescendo una cugina osservando una fotografia
in bianco e nero dello zio Dino con il cappello di paglia avrebbe affermato:
“Guarda, lo zio pare Hemingway.”
Io avrei risposto accipicchia che parabola esistenziale: prima Zoff,
poi Hemingway.
Per quanto riguarda le uova invece, mia madre aveva scoperto che da
ragazzino il futuro e tranquillo portiere mondiale era piccolo, troppo piccolo
di statura tanto che la nonna aveva pensato di fargli mangiare un uovo al
giorno fino a farlo divenire grande, almeno sufficientemente per parare. Anche
io esitavo ad alzarmi in centimetri, così mia madre aveva cominciato a fare dei
frullati dopo pranzo, interrompendo il mescolamento di latte e frutta per
calare dall’alto nel basso del frullatore un tuorlo d’uovo perché aveva letto
da qualche parte che pure la nonna di Zoff, eccetera. Io tornando da scuola
diffidavo, non mi andava l’uovo nel frullato, ascoltavo il rumore della frutta
e del latte che si mischiavano attraverso il piccolo elettrodomestico interrompersi
improvviso, poi ripartire, il tempo in teoria necessario a mia madre per
aggiungere l’uovo al frullato, mia madre negava risoluta di aver corretto il beverone,
io andavo a verificare nella pattumiera e trovavo la prova del guscio buttato
che svelava il mistero. Poi avevo imparato a berlo lo stesso per diventare
grande.
Così, quando trent’anni dopo leggendo il quotidiano del noioso Barbapapà
sono capitato per caso dentro un articolo che annunciava l’uscita della
biografia di Dino Zoff mi sono detto andiamo a controllare questa storia delle
uova. Ho chiamato al telefono mi madre e le ho detto:
“Ti ricordi quella vecchia faccenda delle uova? Vado a controllare.”
Mia madre ha detto:
“Fammi sapere.”
Così sono andato a Sestri Levante ma pioveva e mi sono rifugiato in
una piccola libreria Mondadori. La biografia c’era ma costava 17 euro e 50, decisamente
troppi. Mi sono limitato a cercare rapidamente tra le pagine la storia delle
uova e poi sono uscito proseguendo senza più gocce in testa fino alla Baia del Silenzio. C’era poca gente,
quasi tutti fuggiti gridando per la pioggia di cui sopra. Con Pietro abbiamo
tirato i sassi nel mare consapevoli della difficoltà del rimbalzo. Nel turno
infrasettimanale, mi riferisco per la precisione alla quarta giornata, Juventus
e Roma hanno vinto rispettivamente con Cesena e Parma mantenendo la testa della
classifica a punteggio pieno.
lunedì 22 settembre 2014
A passeggio con il campionato (3)
Chiavari – Mangiavo farinata e alici
fritte da Vittorio (osteria con cucina, Chiavari) mentre Milan e Juventus si
apprestavano a scendere in campo, a Milano, avvenimento che tuttavia il vino
bianco mi faceva quasi scordare mentre osservavo la gente in fila appoggiata al
muro in attesa che noi finissimo, si trattava di persone in ritardo oppure non
consapevoli che da Vittorio arrivare alle 19.30 significa accodarsi a un attesa
nervosa almeno fino al creme caramel o al tirami su consumato da chi ti ha
preceduto e ti guarda dal tavolo, conoscitore del luogo e delle abitudini, cercando
di mantenere la lentezza del pasto perché ci mancherebbe non può essere colpa
nostra. Mangiavo farinata e alici fritte da Vittorio e pensavo a quale era la
migliore, di farinata, se quella di Vittorio o quella di Baiciotto, sempre
Chiavari, che avevo provato solamente due sere prima, se soggiorni in Liguria per
qualche giorno è un delitto non mangiare la farinata. Comunque mangiavo e
bevevo, consapevole della mia religiosa mortalità grazie al buon vino, piazza
Fenice mi era piaciuta anche l’altra volta quando mi ero messo a giocare a
pallina con Pietro, adesso invece campeggiava un cartello con scritto “Vietato
il gioco della palla”, l’avevano mica messo per noi? In ogni caso la loro colpa
linguistica li avrebbe accompagnati all’inferno, si chiama calcio non gioco
della palla. I murati vivi guardavano impazienti battendo a terra le infradito,
buono il tirami su andate almeno a casa a cambiarvi, dicevo a Marco che a
Milano non si trovano più posti come Vittorio dove mangi bene secondo la
tradizione popolare non divenuta moda meneghina così abile ad alzare prezzi e
ridurre porzioni, maledetta capitale del Nord, a Roma ad esempio avevo mangiato
da Mario, a pochi passi dal Pantheon provando tuttavia sensazioni simili a quelle
di Vittorio, alla parete stavano appese fotografie della Lazio se non ricordo
male. Ma qui, la sera di Milan-Juventus a Chiavari, arrivavo a pensare che se l’Entella
mi avesse proposto un biennale per concludere la carriera avrei potuto anche accettarlo,
io Pirlo della Riviera umile a scendere di categoria tanto ormai avevo
trentanove anni e un figlio stupendo, ascoltavo lontane le note di un disco di
Nick Drake addormentarsi nel mio cervello, facciamo Bryter Layter, mentre a San
Siro Barbara Berlusconi esibiva la sua maglietta attillata del Milan sotto la
giacca di pelle buona tuttavia per distrarre gli spettatori ma non i calciatori
Alexandre Pato escluso, in campo infatti i rossoneri stavano arroccati in nove al
confine delle loro oggettive e attuali possibilità, diciamo il limite della
propria area, mentre la Juventus seppur lentamente dava l’impressione del cobra
che prima o poi avrebbe morso, colpito, ucciso la giovane preda. L’omicidio
sarebbe avvenuto al ventiseiesimo del secondo tempo grazie a Carlos Tevez,
beffardo nello scivolare prima di toccarla per Pogba, sornione fino a quel
momento ma illuminato nell’immaginare un triangolo di ritorno per il grasso
argentino poi infantile nel superare Abbiati con un tocco di piatto e infilarsi
un ciuccio in bocca: Milan 0, Juventus 1. Io ne approfittavo per alzarmi dalla
sedia e sentire il sospiro degli aspettanti pronti a sferrare l’attacco decisivo
al menù da troppo agognato, arrivederci Vittorio, tornando all’automobile Chiavari
sembrava Napoli con i motorini truccati e corso Garibaldi infestato da un locale
per giovani ritardati caratterizzato da una musica da discoteca propagata oltre
il livello del respiro condominiale da un gestore impunito e probabilmente
protetto. In cinque giorni di mare non avevo letto nulla, scritto nulla, solo vissuto
e pensato qualcosa che poi forse avrei dimenticato, e allora quale libro mettere
a passeggio con il campionato, Mosca-Petuskì
poema ferroviario di Venedikt Erofeev, povero disgraziato, nato nel ’38 e
morto nel ’90, capace in vita di numerosi mestieri tra i quali il disoccupato
(in Unione Sovietica, dove la disoccupazione non esisteva) e a lungo senza
fissa dimora (in Unione Sovietica, dove non si poteva essere sena fissa dimora),
oggi uno dei più conosciuti, imitati, ammirati, odiati, calunniati,
malsopportati autori russi del Novecento.
lunedì 15 settembre 2014
A passeggio con il campionato (2)
Milano - Provo quasi un malessere
fisico quando mi reco al lavoro domenicale, i cattolici entrano a messa al
piccolo trotto, sorvolati dai piccioni, donano al mendicante immigrato
appollaiato sugli scalini un paio di spiccioli, anche se puzza un po' e loro
sono tutti vestiti così bene. Ma poi mi passa, dico la storia del lavoro
domenicale, entro in libreria e prendo il romanzo o il saggio che nel corso
della settimana mi ha più colpito, lo appoggio al mio fianco nella postazione
che mi spetta, ultimamente a sorpresa la cassa numero 7, consapevole e
speranzoso che al momento opportuno tornerà utile come ancora di salvataggio
quando le code dei clienti si faranno lunghe, e semplici lobotomizzati oppure
raffinati (ai loro occhi) radical chic inizieranno a sbuffare per l’attesa,
fregandosene dei perché e del contratto di solidarietà. Talvolta basta uno
sguardo al mio amico libro per ritrovare contatto con la realtà, continuare a
fare il mestiere che preferisco e che mi viene negato, questo week end è la
volta di Ugo da Guzzano, di Ugo Cornia e dei suoi Animali (topi gatti cani e mia sorella), di una casa di famiglia
sull’Appennino bolognese, di una vecchia casa dove gli animali sono una
presenza nota. Non che io ami particolarmente gli animali, specie i cani
trasformati in sottospecie umana da noiosi padroni di bestie che spesso mi
capita di sorprendere mentre ad esempio infrangono le leggi del raccoglimento dell’adorata
cacca o del guinzaglio obbligatorio nei parchi pubblici, ma lo stile di Ugo Cornia
che mastico da anni quello sì, con quel suo in apparenza grazioso non prendersi
sul serio in un mondo letterario dove invece, poi non lo so.
Ma ecco spuntare tra la
folla il noto giornalista con le sue belle bretelle e il suo serafico sorriso:
“Buongiorno Francesco,
che ne dice di consigliare il mio nuovo libro? Ha visto le mie bretelle? Il mio
serafico sorriso?”
“Certo signore, le sue
bretelle non passano inosservate, e nemmeno il suo serafico sorriso. Però guardi
per via del libro ci penso, al momento sto già consigliando Animali (topi gatti cani e mia sorella)
di Ugo Cornia, non vorrei fare confusione. Tuttavia se lei salta la barricata e
batte qualche scontrino al posto mio possiamo trovare un accordo, Walter
Mazzarri si è rotto una mano contro il filo spinato, oppure cadendo dalle scale
e vorrei verificare di persona.”
Il giornalista allunga la
bretella con un dito, prende la rincorsa e salta dentro al loculo di legno e
vetro che costituisce il mio soggiorno per fortuna non definitivo, sono momentaneamente libero e posso così recarmi allo stadio Meazza in
San Siro dove Mazzarri, probabilmente per via della scivolata scalina che gli
ha fatto percepire l’esile provvisorietà dell’esistenza, propone una formazione
spregiudicata con addirittura i qualitativi Kovacic ed Hernanes a supporto
delle punte Icardi e Osvaldo, il tutto ben bilanciato dal temibile Medel, molto
più di un feroce pitbull. L’allenatore Eusebio del Sassuolo invece risponde con
un 4-3-3 caratterizzato dal tridente offensivo Berardi-Zaza-Sansone, ma da
subito si mette a sedere sul lettino del personale calcio psicologico ed espone
al medico tutta l’incoscienza del proprio bagaglio zdzenekzemaniano. Andrà a
finire con il neo-portiere neroverde Consigli costretto a recuperare il pallone
meneghino in fondo al sacco per una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette volte:
Icardi, Kovacic, Icardi, Osvaldo, Icardi, Osvaldo, Guarin. Inter 7, Sassuolo 0.
Mi sfrego le mani e m’incammino
verso la libreria, non che sia diventato di colpo interista, ma ho pronosticato
la squadra di Mazzarri come terza forza del campionato e se le cose
proseguiranno di questo passo, con questo assetto tattico ci sono buone
probabilità che io possa vantarmi a fine anno con gli amici del bar, come in
altre numerose circostanze. E poi grazie al giornalista ho evitato almeno due
delle otto ore di cassa 7. Ritorno in libreria e dopo molti scontrini battuti
il suo sorriso è meno serafico, le sue bretelle meno elastiche, il suo volto
oscuro. Chiudiamo insieme le saracinesche e la messa è finita, andiamo in pace.
martedì 2 settembre 2014
A passeggio con il campionato (1)
Milano – Esco di casa al calar della sera dell’ultimo giorno del
calciomercato estivo e becco il figlio del mio amico fruttivendolo milanista
che sta dando fuoco a un cassonetto della spazzatura.
“Hey, cosa fai?”
“E’ per via della cessione a titolo definitivo di Bryan Cristante al
Benfica, non sono d’accordo”.
“E vabbè, cosa avresti dovuto fare allora ai tempi del passaggio di Andrea
Pirlo alla Juventus?”
“Questo è vero”.
Insomma riconduco il figlio del fruttivendolo a più miti azioni, spegniamo
il fuoco sporco con dei secchi di acqua gelata che in questi giorni va tanto di
moda, ma in altre zone della città persistono e si riproducono nuovi focolai
della protesta, un gruppo di tifosi pare abbia assaltato la nuova sede storta
rossonera di via Aldo Rossi, anche Casa
Milan brucia e sono scontento perché non ho fatto ancora in tempo a
visitare il museo, e nemmeno a incontrare per caso Barbara Berlusconi che fuma
una sigaretta facendo su e giù nervosa o pensante nella grande piazza al
Portello.
“Mi sembra tutto un po’ esagerato” dico passeggiando a fianco del mio
amico di frutta redento “non si bruciano i cassonetti e meno che mai i libri.
Pensa che durante gli inverni a Crum, le giornate erano lunghe, noiose e
fredde. Durante le estati invece le giornate erano lunghe, noiose e calde. A
Crum, solo la temperatura cambiava”.
Lui mi chiede:
“Cos’è Crum?”
E io:
“Una rozza città sul confine tra West Virginia e Kentucky, o meglio il
romanzo scritto nel 1985 da Lee Maynard che ho comprato qualche giorno fa con
circa trent’anni di ritardo, ma ne valeva la pena. E poi scusa, questo Bryan
Cristante faceva la riserva a Poli e Muntari, venderlo per sei milioni di euro
potrebbe anche rappresentare qualcosa di non automaticamente negativo, bisogna
vedere come spendi dopo i denari che hai incassato, intanto Bryan andrà a
vivere e a giocare a Lisbona beato lui, potessi farlo io che viceversa concludo
qui il mio breve sogno portoghese e la mia discutibile dissertazione sul
calciomercato e sulla città di Crum dove i passatempi preferiti dei ragazzi
sono fare a botte, bestemmiare, andare a caccia e talvolta rimorchiare una
ragazza. Ma non bruciare cassonetti. Del resto la popolazione di Crum, West
Virginia, vanta 219 esseri umani, due subumani, un paio di pattuglie di cani di
vario tipo, almeno un gatto, un mulo ritardato e il mito sempre vivo di Crash
Corrigan”.
La classifica della Serie A dopo la prima giornata invece parla chiaro
e dice Milan, Roma, Udinese, Napoli, Cesena, Juventus 3 punti. Cagliari, Palermo,
Sampdoria, Sassuolo, Atalanta, Hellas Verona, Inter, Torino 1 punto. Genoa,
Chievo Verona, Parma, Lazio, Empoli, Fiorentina 0 punti. Sarà bene ricordarla
quando tra quindici giorni riprenderà il campionato, superata la sempre
fastidiosa prima pausa dedicata alla Nazionale, questa volta leggermente più
interessante per la presenza del nuovo Commissario tecnico sulla panchina
azzurra.
giovedì 28 agosto 2014
A passeggio con il campionato (0)
Milano - Allora le cose stanno così, il mattino successivo alla prima
notte trascorsa in pianura dopo tre settimane in montagna ho pensato che sono
troppe tre settimane in montagna, specie se su venti giorni sedici sono di
nuvole o pioggia. Può capitare. Se non fosse stato per Jim Thompson mi sarei
potuto anche annoiare, voi direte chi è Jim Thompson, un adorabile disperato scoperto
grazie a Marco Peano per quanto mi riguarda, voi direte chi è Marco Peano. Un uomo da niente e Pop. 1280, quest’ultimo recentemente ristampato da Einaudi
purtroppo con il titolo Colpo di spugna,
scelto dal regista Bertrand Tavernier nel 1981 per la trasposizione
cinematografica. Ho passato l’agosto insomma con Clinton Brown (giornalista del
Courier di Pacific City autore della nota
rubrica A passeggio con Clinton Brown)
e con Nick Corey (sceriffo della contea di Potts, angolo del Texas dimenticato
da Dio, 1280 anime in tutto compresi i neri). E sono uno scrittore talmente
originale e metodico che in previsione di un’eventuale rubrica forse
settimanale su Quasi Rete ho pensato
ecco cosa potrei fare, scrivere A
passeggio con il campionato, almeno per dare una giustificazione razionale
alla mia coscienza quando mi chiede perché passo così tanto tempo intorno al
pallone. Perché è bello, direbbe mio figlio Pietro che ieri uscendo palla al
piede dalla cucina ha esclamato con fare convinto:
“Ecco Arturo Vidal che esce dalla cucina!”
Sono soddisfazioni spazio-temporali non frutto del caso, da venti minuti giochiamo a calcio in corridoio gridando:
"Io sono Vidal!"
"Io sono Tevez!"
ma soprattutto:
"Io sono Marchisio!"
che a sorpresa per Pietro diventa:
"Io sono Mirtillo!"
Nella speranza che Arturo Vidal Pietro non fosse diretto dalla cucina verso Manchester. O forse sì. Poi lunedì mi sono ricordato che Julio Cortazar martedì avrebbe compiuto cento anni. Al lavoro in libreria è arrivata una signora che mi ha chiesto se esistevano biglietti d’auguri per persone che fanno cento anni. Le ho detto Ah, come Julio Cortazar! Ma lei non ha risposto niente e anzi mi ha guardato male. Suo padre non era Julio Cortazar. Non abbiamo comunque biglietti d’auguri specifici per chi compie cento anni. Giovedì però l’editore Fazi ricorderà l’anniversario dell’autore argentino con una pubblicazione inedita in Italia: A passeggio con John Keats. Mi sono sfregato le mani e ho pensato mannaggia, sono davvero uno scrittore originale, A passeggio con il campionato.
"Io sono Vidal!"
"Io sono Tevez!"
ma soprattutto:
"Io sono Marchisio!"
che a sorpresa per Pietro diventa:
"Io sono Mirtillo!"
Nella speranza che Arturo Vidal Pietro non fosse diretto dalla cucina verso Manchester. O forse sì. Poi lunedì mi sono ricordato che Julio Cortazar martedì avrebbe compiuto cento anni. Al lavoro in libreria è arrivata una signora che mi ha chiesto se esistevano biglietti d’auguri per persone che fanno cento anni. Le ho detto Ah, come Julio Cortazar! Ma lei non ha risposto niente e anzi mi ha guardato male. Suo padre non era Julio Cortazar. Non abbiamo comunque biglietti d’auguri specifici per chi compie cento anni. Giovedì però l’editore Fazi ricorderà l’anniversario dell’autore argentino con una pubblicazione inedita in Italia: A passeggio con John Keats. Mi sono sfregato le mani e ho pensato mannaggia, sono davvero uno scrittore originale, A passeggio con il campionato.
E se lo scudetto lo vincesse la Roma? Seguita nel pronostico da
Juventus, Inter, Napoli, Fiorentina, Milan e Lazio. A meno che alla squadra di Allegri
(per chi avesse perso qualche puntata, Massimiliano Allegri adesso allena la
Juventus) non si aggiunga sul serio il colombiano Radamel Falcao, detto El
Tigre, che da solo potrebbe spostare gli equilibri, come amano affermare certi navigati giornalisti sportivi. Ma è molto difficile, lo ripete da trenta giorni la maggioranza
dei quotidiani. Molto difficile, ma non impossibile, e tutti sembrano aspettare
la fine del calciomercato per poi dire era evidente che fosse impossibile, non
molto difficile. Due ottimi romanzi comunque quelli di Jim Thompson, Un uomo da niente e Pop. 1280, i migliori che ho letto in questa estate del 1954, e del
1964.
mercoledì 20 agosto 2014
Maracanazo, 13 racconti
I tredici racconti mondiali che ho scritto per Quasi Rete, blog letterario della Gazzetta dello Sport, da oggi disponibili in un solo clic.
venerdì 15 agosto 2014
Conte, Italia. Una corrispondenza austro-sportiva
Obereggen - Insomma tocca ancora una volta alla Juventus risolvere i problemi della Nazionale. Comporta responsabilità, il destino di essere privilegiati. Pensavo a questo passeggiando e ridendo per Nova Levante, di solito preferisco Nova Ponente, ma quando sei al quinto giorno di pioggia in montagna si è portati a soluzione alternative, tradire il ponente per il levante, qui la popolazione sportiva si distingue tra simpatizzanti del Bayern Monaco e/o della Germania Ovest, con qualche rara spruzzata di Schalke 04, mi sono sempre chiesto come mai nessuno parteggi per l'Austria Vienna e/o l'Austria in generale, con qualche spruzzata di Rapid Vienna. Io invece solidarizzo con il Borussia Dortmund ma senza esagerare, ogni anno perdiamo il giocatore migliore ma restiamo competitivi, in Inghilterra invece sono dell'Arsenal, in Spagna del Barcellona, in Francia del Marsiglia, in Argentina del Boca. Lo fate mai questo gioco? In ogni il calcio italiano qui in Sudtirol è un riflesso, mi sento un fortunato corrispondente all'estero che osserva con sconfortato stupore l'elezione di Carlo Tavecchio a presidente della FIGC. Vince il settantunenne candidato-banana di Galliani, Lotito, Preziosi, De Laurentis. Della maggioranza. Mi sa che io, anche in una società migliore di questa, mi troverò sempre d'accordo con una minoranza. Tavecchio si mette immediatamente in contatto con il migliore allenatore italiano in circolazione per proporgli la panchina della Nazionale, all'improvviso Antonio Conte diventa il preferito di quasi tutti i giornalisti, di quasi tutti i tifosi (certo qualche caso clinico resiste). Separato dalla Juventus le sue innegabili qualità vengono apprezzate con distacco, certe forme d'odio tipicamente anti-juventine (così stucchevoli, così prevedibili) del tifoso medio italiano di colpo scompaiono. Sarà che è la vigilia di Ferragosto, sono tutti più buoni, ma si pensa all'interesse generale, scegliere il più bravo per ricostruire un movimento non così a pezzi come sembra, basta un pallone che entra in rete invece di prendere il palo per far cambiare valutazione e giudizi a milioni di persone. Domani (oggi per chi legge) partiranno i coccodrilli elogiativi del mister salentino, ma non è morto Antonio, probabilmente anche Pinci & Mensurati su Repubblica eviteranno di estrarre dal cilindro il famoso computer portatile sequestrato a Conte due anni fa che, una volta aperto, "avrebbe potuto svelare alcuni segreti del calcioscommesse". Quale computer? Quali scommesse? Tutto dimenticato. Beppe Severgnini magari ci regalerà un corsivo dei suoi, arrogante nella sua banalità, con o senza interismi. Che sollievo sostare in Alto Adige, la sconfitta del Bayern Monaco in Supercup per colpa dell'Uomo Ragno Aubameyamg che fino a qualche anno fa si arrampicava giovane e ignorato sulle pareti di Milanello è stata assorbita senza particolari patemi, ha vinto ancora Jurgen Klopp, comunque nazioni più civili hanno già cominciato a giocare campionati o coppe, non si lascia un popolo senza calcio che conta fino al 31 agosto, penso passeggiando per Nova Levante, di solito preferisco Nova Ponente. Conte farà bene perché è bravo, perché ha vinto tre scudetti consecutivi il primo senza perdere mai il terzo totalizzando 102 punti. Del resto il girone di qualificazione agli Europei l'avrebbe passato anche Zaccheroni, vedremo alla fase finale, un caro saluto a tutti da Obereggen.
lunedì 28 luglio 2014
Futura Festival
Amici marchigiani, amici del centro Italia. Domani sarò a Civitanova Marche in compagnia di Antonio Gurrado, Paolo Di Paolo, Giancarlo Liviano D'Arcangelo, Maurizio Compagnoni per parlare del futuro della letteratura, dopo i Mondiali. Sarà presente anche un campione del calcio italiano (che non sono io). Futura Festival, piazza della Libertà, ore 23.
domenica 27 luglio 2014
lunedì 21 luglio 2014
Una recensione bellissima
Capita di ricevere recensioni bellissime, come questa di Gianvittorio Randaccio per Quasi Rete, blog letterario della Gazzetta dello Sport. Ti fanno quasi pensare che valga la pena scrivere.
di Gianvittorio Randaccio
Se uno legge Il Fuorigioco sta antipatico ai bambini, a un certo punto, a pagina 114, succede che Francesco Savio, ormai alla fine di quello che che lui chiama un romanzo e invece non è un romanzo, ma undici romanzi brevissimi che dovrebbero avere a che fare con i mondiali di calcio e la letteraratura, e invece cambiano direzione continuamente e col calcio e la letteratura si bagnano un pochino e poi tornano fuori dall’acqua, si mette a raccontare di lui e di Pietro, suo figlio, e del fatto che lui, Francesco, vuole portare Pietro al cimitero, che per lui, Francesco, è un posto triste, mentre per il figlio, Pietro, no, anzi, è un posto come un altro dove passeggiare o correre senza avere niente a cui pensare, se non passeggiare o correre, per l’appunto. A questo punto di pagina 114 succede anche, ma questo Francesco Savio non può saperlo, che a me sgangherato lettore questa cosa del cimitero e dei bambini fa venire come un groppo in gola pieno di emozione e mi fa pensare a una scena simile vissuta da me con una bambina di tre anni che, entrando al cimitero maggiore di Milano, si guarda intorno stupefatta dicendo che questo parco è veramente grandissimo, entusiasta della contemporanea presenza di addirittura due ruspe gialle, purtroppo ferme, visto che è domenica. E questa cosa di pagina 114, che magari agli altri lettori del Fuorigioco sta antipatico ai bambini non dice niente, per me si trasforma nella rivelazione del senso di questo libro, nel quale i mondiali sono una scusa per proseguire un discorso cominciato con Mio padre era bellissimo e proseguito con Il silenzio della felicità, e anzi forse nel senso stesso della scrittura di Francesco Savio, che spesso trova il modo di farti vedere delle cose all’improvviso, come se svoltassi di colpo in una strada nuova e bellissima, costringendoti ad alzare gli occhi dalla pagina per cercare di guardare un po’ più in là, appena dopo quella svolta, alla ricerca di spazio, per permettere a tutti questi groppi di emozione di trovare dello spazio per stendersi un po’, che se no si accartocciano su se stessi e rischiano di scoppiare. E, per finire, questa benedetta pagina 114 ti fa pensare che tutto questo giro di tue emozioni così personali ha sicuramente a che fare con un cimitero, una bambina di tre anni e due ruspe gialle, ma anche con qualcosa di più profondo, misterioso e insondabile, che è la capacità di Francesco Savio di aggrapparsi con leggerezza alle cose che non si possono spiegare, lasciandoti la netta sensazione che, alla fine, spiegarle non serve a niente, basta raccontarle.
lunedì 14 luglio 2014
Maracanazo. Germania-Argentina: Nastassja Kinski e Johann Wolfgang Goetze.
Milano - Ricordo che ero molto giovane e guardavo i film di Wim
Wenders chiuso in camera da solo, astioso nei confronti di chiunque avesse
l’idea di disturbarmi, mia madre un amico una corteggiatrice il telefono fisso,
non possedevo ancora il cellulare. Falso
movimento in particolare, il ragazzo biondo che procede lungo una stradina di
campagna così almeno mi pare, alla ricerca della sua vocazione artistica,
pellicola sceneggiata da Peter Handke liberamente tratta dal romanzo Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister di Johann
Wolfgang von Goethe, avevo scritto anche una poesia intitolandola con
influenze germaniche appunto Falsche Bewegung. Certe ragazze innamorate
suonavano il campanello, io rispondevo al citofono:
“Ma per favore, sto guardando i film di Wim Wenders chiuso in camera da
solo, passa più tardi o meglio non farti più vedere.”
Loro non se ne facevano una ragione e insistevano a suonare con il dito
appiccicato al pulsante. Del resto in quel tempo m’innamoravo di tutto,
m’innamorava di altre, di Nastassja Kinski incontrata sul treno con la frangia
quasi fino dentro agli occhi, leggeva un libro con il ragazzo biondo la figlia
dell’attore Klaus, non vorrei sbagliarmi ma si trattava della Vita di un
perdigiorno di Joseph Freiherr von
Eichendorff, anche tra i miei romanzi preferiti di allora, e non poteva certo trattarsi
di un caso Nastassja.
Invece
troppi anni dopo, una sera di metà luglio Germania contro Argentina per
diventare campioni del mondo in diretta da Rio de Janeiro, Wim Wenders aveva
imboccato da tempo la strada del declino creativo ma buon per lui viveva di
rendita tra Berlino e New York mentre io faticavo ad arrivare alla fine del
mese, inquadravano le tribune e l’infantile bellezza della Kinski era stata
sostituita dalla sgradevole e sgraziata Angela Merkel in giacchetta rossa con
le braccia corte, peccato, poi in campo la finale non era scontata come la
maggioranza dei pronostici aveva cercato di prevedere. Anzi Gonzalo Higuain al
ventunesimo, a causa dell’imprevisto e maldestro assist di testa dell’avversario
Kroos, si trovava al limite dell’area solo davanti a Neuer, ma calciava in modo
ignobile schiacciando il tiro d’interno destro con il pallone che rantolava
qualche metro distante dal palo. Dieci minuti dopo, ancora l’attaccante del
Napoli mostrava le stigmate dell’uomo non scelto dal destino, esultando incontenibile
per qualche secondo in seguito a una rete realizzata tuttavia in fuorigioco. I
tedeschi reagivano e concludevo la prima frazione con un paio di chance, la più
clamorosa un palo colpito di testa da Howedes sugli sviluppi di un calcio d’angolo.
Leo Messi intanto si metteva a vomitare, probabilmente stufo dei noiosi
commenti di chi non perdeva azione o movimento per confrontarlo con Maradona,
si andava al riposo e al risbucare delle squadre in campo il tranquillo ma sofferente
Sabella sostituiva Lavezzi con il baricentro basso Aguero. Messi sfiorava il
goal con un bel diagonale, Neuer cercava di decapitare Higuain con un’uscita
kamikaze non venendo sanzionato, si andava ai supplementari e Schurrle aveva
un’occasione, Palacio quella della vita ma stoppava male un pallone proveniente
dalla sinistra per poi stortare un tentativo di pallonetto. Calci di rigore?
No, perché a sette dalla fine il paffutello Mario Goetze, entrato da un quarto
d’ora al posto del buon vecchio Miro Klose, seguiva un’accelerazione del
butterato Schurrle sulla fascia facendosi trovare puntuale allo spiovente che
giungeva all’altezza del vertice dell’area di porta. Johann Wolfgang Goetze stoppava
geometricamente il pallone sul morbido petto prima di direzionarlo in girata al
volo nell’angolo opposto, con una linea collinare letale per tutta la nazione
argentina. La Germania era campione del mondo per la quarta volta nella sua
storia e mentre i commentatori impiegati nostrani si affrettavano a giudicare,
sentenziare, banalizzare, Leo Messi guardava il vuoto, non vomitava solo per
educazione, vinceva il premio come miglior giocatore del Mondiale brasiliano,
posava assente per le fotografie, aspettava i compagni distrutti per indossare
senza voglia la medaglia d’argento, si faceva abbracciare dal picchiato e
sanguinante sotto l’occhio Schweinsteiger. Io spegnevo il televisore con leggero
rammarico, altri quattro anni erano passati e ne avrei dovuti attendere altri
quattro, era la mezzanotte italiana del tredici luglio duemilaquattordici,
Nastassja Kinski non avrebbe suonato alla mia porta.
mercoledì 9 luglio 2014
Maracanazo: Brasile-Germania. Il muratore jugoslavo e il Cacao Meravigliao
Milano – Al bar del mattino un
muratore jugoslavo batteva il pugno sopra il bancone e imprecava per un lavoro
che aveva già fatto e gli toccava adesso rifare, non per colpa sua ma a causa
di un cliente o del capo stronzo o di un altro muratore che aveva messo le mani
dove non avrebbe dovuto e adesso insomma gli toccava rifarla da capo, la
parete, porca puttana quanto tempo perso e il tempo erano soldi. Poi aveva da
finire quell’altro lavoro in quell’altra casa, e ci sarebbe pure stato da
trattare sul prezzo come al solito perché quando c’era da pagare diventavano
tutti uguali, lo jugoslavo azzannava la briosche e tirava una Madonna prima di
immergerla nel cappuccio. Io approfittavo del mio, di cappuccio, per poi entrare
nell’ex-libreria come ex-libraio, adesso cassiere in virtù di un’indubitabile
meritocrazia, quanti nuovi romanzi orrendi mi spiavano dagli scaffali, la folla
italiana in lacrime per la scomparsa dello scrittore famoso un tempo comico,
era una lotta tra lui e il Premio Strega Francesco Piccolo, per una volta non
c’erano dubbi meglio il Premio Strega anche se Il desiderio di essere come tutti io avevo smesso di leggerlo dopo
cento pagine, senza una precisa ragione o forse sì. Avanzavano scontrini e
mattinata e le condizioni per l’isteria collettiva c’erano tutte, del resto
pioveva, in Brasile un’infermiera era stata licenziata per aver filmato con il
telefonino Neymar trasportato in barella dentro l’ospedale, la notizia
campeggiava su tutti i giornali insieme al Papa che scomunicava i camorristi
che allora non andavano più a messa e al commento all’accaduto dell’autore
milionario specializzato in anti-camorra. Le condizioni per l’isteria
collettiva c’erano tutte: il muratore jugoslavo, l’infermiera impiccata negli
scantinati dell’ospedale per aver filmato sorridente il Dio del pallone, altro
che Maracanazo, i giocatori del Brasile durante l’inno nazionale sembravano
donne sull’orlo in un film qualsiasi di Pedro Almodovar, la Germania entrava sul
terreno di gioco dello stadio Mineirao indossando a sorpresa e con genialità la
maglia del Flamengo al posto dell’abituale casacca bianca e questa mossa
sparigliava gli equilibri, in ventinove minuti i tedeschi ne facevano cinque
con Mueller, Klose, Kroos due volte e Sami Khedira, migliore in campo. Cacao,
meravigliao. L’Onu decideva d’intervenire solamente tra il primo e il secondo
tempo e al risveglio, di fronte alla popolazione verdeoro attonita, Scolari
sostituiva la macchietta verde Hulk con Ramires e Fernandinho con Paulinho. La
risultante era un Brasile all’arrembaggio nei primi minuti che tuttavia
sbatteva contro il consueto, insuperabile Neuer. Qualche giocatore del Brasile
cominciava a tuffarsi in area di rigore alla ricerca del disperato goal della
bandiera, con attaccanti come Fred e Bernard (un Giovinco meno decisivo) in
effetti non si poteva certo sperare di segnare su azione. Verso la mezzanotte
italiana pareva evidente che la Seleção non
avrebbe mai gonfiato la rete e che anzi sarebbe toccato nuovamente ai tedeschi
arrotondare con una doppietta dello
spettinato Schürrle, ma all’ultimo minuto disponibile invece il
magrolino Oscar riusciva a compiere il prodigio trafiggendo sul primo palo un
arrabbiato Neuer e fissando un risultato che nessuno avrebbe pronosticato alla
vigilia: Brasile 1, Germania 7. Al triplice fischio le lamentele del pubblico
brasiliano non erano neppure esagerate considerata la situazione, prevaleva lo
sconcerto, Thiago Silva con il cappellino bianco di Neymar raggiungeva il campo
per consolare i compagni e in particolare proprio il giovane Oscar, mentre i
tedeschi salutavano i pochi sostenitori saltellando ubriachi e festosi verso la
finale del Maracanã. Argentina oppure Olanda? Domani sera tutti ne avremmo
saputo di più.
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