martedì 11 novembre 2014

A passeggio con il campionato (11)


Milano – Sarà capitato anche a voi di svegliarvi nella notte per controllare quanti libri di Beppe Fenoglio avete in libreria. A me è capitato domenica scorsa e non è la prima volta, certo non sempre per Beppe Fenoglio altrimenti sarei un imbecille o almeno un individuo dotato di poca memoria. Comunque ho aperto gli occhi erano le quattro e trentacinque, guardando il buio soffitto della camera da letto mi sono chiesto:
“Ma io quali romanzi ho letto di Beppe Fenoglio?”
mi sono alzato e ho spiato mia moglie e mio figlio dormienti, era il caso di svegliarli? Quanti libri avevano letto loro di Beppe Fenoglio? In soggiorno ho calpestato con lentezza il legno del vecchio parquet per non dare fastidio a nessuno, ma scricchiolava lo stesso, ho acceso la luce e illuminato I ventitré giorni della città di Alba, La malora, Primavera di bellezza, Il partigiano Johnny, Una questione privata, Diciotto racconti e un pregevole volume biografico per immagini a cura di Franco Vaccaneo, acquistato nel 2001, che avevo quasi scordato di possedere. Le opere, i giorni, i luoghi. Uno di quei volumi che fino a qualche anno fa si potevano trovare in quantità nelle librerie remainders anche in centro a Milano, prima che il caro affitti, l’esasperato sviluppo tecnologico e la sconfortante idiozia di un popolo non lettore portasse molti di quei sacri luoghi alla chiusura. Ho passato un’ora a sfogliarlo e a rileggerlo, prima di abbandonare l’insonnia partigiana per guadagnare almeno due ore di sonno in funzione della veglia lavorativa. Di ritorno dal turno non era cambiato molto a casa Savio a parte gli altri componenti della famiglia questa volta in piedi ad aspettarmi. Ho girato la chiave nella serratura e ancora prima di terminare la prima rotazione ho sentito con chiarezza quella voce conosciuta a un discreto volume:
“Papino! Papino!”
e poi, un passo dentro l’abitazione:
“Giochiamo alle macchinine?”
Ho riposto va bene Pietro, mangio qualcosa e arrivo.
“Ma poi giochiamo alle macchinine?”
“Sicuro.”
“Dai giochiamo alle macchinine?”
“Si può fare, ma perché invece non giochiamo un po’ a Beppe Fenoglio?”
“Cosa?”
“A Beppe Fenoglio.”
“Alle macchinine.”
“A Beppe Fenoglio.”
“Alle macchinine.”

Dopo pranzo, abbiamo giocato alle macchinine. Beppe Fenoglio faceva l’impiegato in un’azienda vinicola. Per via delle lingue che conosceva gli avevano affidato l’esportazione. Compilava lettere di accompagnamento per partite di Vermut e spumanti, lavoro abbastanza noioso tutto sommato ma così poco impegnativo che, eludendo la sorveglianza dei principali, gli consentiva di mandare avanti anche quello di scrittore. Tra una pratica e l’altra infatti, e usando per precauzione la stessa carta intestata della ditta, scriveva interi capitoli dei suoi libri che a casa riscriveva e rifiniva.
Poi dopo i parcheggi, gli incidenti e i capovolgimenti di automobili verdi, rosse, blu, gialle e grigie Pietro mi ha chiesto:
“Papà, ma la Uve quanto ha fatto?”
e io:
“Pensa, ha vinto sette a zero.”
“Ah.”