lunedì 4 maggio 2015

A passeggio con il campionato (33)


da Chiavari

“L’Italia è un Paese di barbagianni, tendenzialmente mafiosi!”
sbraitava quel tale in piedi su una sedia nel centro di Chiavari vicino alla fontana.
Io arrivavo da Milano dopo aver spento internet, la Rete non cambierà le cose, internet non salverà il mondo; e mi chiedevo come mai, tutta questa ostilità nei confronti dei barbagianni. Poi correvo dietro a Pietro in bicicletta coi pedali da due settimane, mettendo in scena la teatrale sacralità del ruolo di padre, avvertendo e rassicurando il piccolo già sfrecciante con caschetto sotto portici e carruggi in merito a gambe di passeggianti da evitare, attraversamenti zebrati di strade da rispettare. Nel giorno del primo maggio, scorgevo bagliori di civiltà nel centro di Chiavari con i negozi tutti chiusi, come vent’anni fa, mi veniva in mente quel povero editorialista del Quotidiano numero 2 che di recente, in uno chic-radicale corsivo, aveva lamentato la tristezza dei centri storici nei giorni di festa con le attività commerciali chiuse, le cartacce sporche negli angoli (?): ma vai a lavorare te il venticinque aprile o la domenica, figlio di giornalista benestante che fa il mestiere del padre. Quindi tornavo dal tale, felice che le ruote della Puky gialla e rossa di Pietro non avessero inferto ferite o prodotto cadute ad anziane e secche gambette di villeggianti, di conseguenza riversi al suolo doloranti e forse senza alito di vita:
“Chi è il papà di questo bambino? Chi è il papà di questo bambino!”
“Sono io, buongiorno, Bianca invece è a casa con la mamma perché piove.”
Il tale continuava:
“Ma se Maria Elena Boschi fosse una cicciona di duecento chili, pensate davvero che, mentre vengono approvate volutamente oscure leggi, ce la ritroveremmo tutti i giorni ritratta sulle prime pagine dei giornali cartacei e online, intenta a guardare pensosa e corteggiata nel vuoto, a scartare stanca ma educata cioccolatini? Questa ossessione dei fotografi parlamentari per Maria Elena, in un certo qual modo Cicciolina democratica dei nostri tempi…”
Dopo il comizio accompagnavo il tale all’Angolo del Tè, lui diceva aspetta che la sedia me la porto dietro non si sa mai, rispondevo certo, del resto io ho il bambino; entravamo nella sala accogliente e nonostante le cinquanta miscele di infusi o decotti disponibili optavamo per due caffè. Vicino al bancone alcuni avventori del locale (si diceva raffinata intuizione di due russe) avvicinavano l’uomo della sedia per dirgli Mi piace! quello che hai detto, Anche a me piace! aggiungeva un altro. Qualcuno commentava e diceva la sua, sui social iniziava a spopolare l’hashtag #luomoinpiedisullasedia.
“Allora se vi è piaciuto cliccate sulla mia pagina, per favore!”
mi sorprendeva l’urlatore brandendo la sedia e facendola vorticare nel vuoto. Poi mi confidava di aver cercato assenso e popolarità anche a Lavagna nel corso del mattino, ma di aver abbandonato la confinante località per via dei pochi passanti, delle troppe cacche e pipì sparse lungo il territorio da quadrupedi orrendamente gestiti e coccolati da padroni misantropi alla buona privi di sacchetto raccogli-merda, e di essere quindi approdato a Chiavari alla ricerca di una maggiore visibilità. Io invece mi trovavo in Riviera per caso, ma baciato dalla fortuna di non essere a Milano il giorno dell’inaugurazione di Expo 2015, con allegati scontri di piazza prevedibili e programmati, in parte probabilmente escogitati o poco controllati per non parlare di e far blaterare i più, con successive reazioni popolane alla #nessunotocchimilano espresse talvolta da individui, politici o imprenditori arricchiti usando magari mezzi illegali, che nella vita erano quotidianamente raffinati e autorizzati black bloc. Da segnalare nella circostanza, la commossa gratitudine degli abitanti della Milano bene nei confronti degli spazzini capaci di ripulire certe strade nobili in tempi da record dopo la guerriglia:
“di solito puzzano un po’ questi spazzini quando gli passi vicino con la colf che spinge il passeggino al posto di noi ricche madri, però stavolta bravi dai.”
Molto meglio allora Chiavari anche se poi l’illusione dei negozi chiusi era soltanto dovuta alla pausa pranzo, alle ore 16 gli italiani tornavano a brulicare sotto i portici confortati dalla intermittente e colorata luminosità delle vetrine, dalla rassicurante possibilità si spendere e comprare, invece che pregare o suicidarsi. Le campane suonavano a festa, io leggevo su facebook qualche limpido ragionamento di Francesco Pecoraro.